Regia di Lars von Trier vedi scheda film
Un film difficile, che spezza in due le mie impressioni senza permettermi di trovare un giudizio complessivo. Sicuramente il film mi è piaciuto, soprattutto nella seconda parte, la prigione. La prima parte del film l'ho trovata invece forzata, comportamenti inspiegabili, scelte irreali che spingono la vittima a essere sempre più vittima dall'inizio alla fine: pressoché cieca, licenziata, derubata, estremamente ingenua, Selma viene di volta in volta sempre più schiacciata dal sistema. E il massimo punto ridicolo l'ho trovato nel tribunale, nella sua ostinazione a non raccontare la verità, a sentirsi insultata senza una reazione, ad aspettare la morte che in fondo sta cercando. Poi però c'è la parte della prigione che è molto bella, il dolore e l'impotenza trovano, nelle gabbie, il loro giusto habitat ed è lì che in effetti la derelitta trova la forza di emergere fino alla fine, quando canterà sul punto di morte la sua lezione di vita agli uomini. Il Mereghetti, tra le varie critiche al film, sottolinea come la denuncia della pena di morte risulti essere blanda. Io credo che invece in tutto il film la pena di morte sia solo una parentesi funzionale allo scopo dell'autore, quello di mostrare la vita di una donna capace di qualsiasi cosa per amore del figlio. E quindi il vero vincitore è l'amore che lega due persone discendenti e la musica, il canto, gli strumenti che meglio di qualunque altri sanno trasmettere e comunicare universalmente. Vince la musica e quindi anche il musical. Le scene più belle, le battute più belle della sceneggiatura sono cantate, sul treno, al lavoro, sulla forca in uno strazio insaziabile che commuove, ma non fa piangere.
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