Regia di Lars von Trier vedi scheda film
"Dancer in the dark" vinse la Palma d'oro al festival di Cannes del 2000: fu un premio in un certo senso inevitabile, visto che Lars von Trier è andato sulla Croisette in concorso con quasi tutti i film da lui realizzati, ma rimane l'impressione che la giuria fu almeno un pochino generosa, visto che in competizione c'era una pellicola certamente superiore come "In the mood for love" di Wong Kar-wai.
La trama è un tipico melodramma alla von Trier: un'operaia di origine Cecoslovacca, Selma, vive e lavora negli Stati Uniti con un figlio a carico conducendo un'esistenza piuttosto grama. Selma soffre di una malattia che la condurrà alla cecità e che potrebbe colpire anche il figlio, che per evitare il pericolo dovrebbe essere operato d'urgenza. Gli unici momenti in cui Selma evade un po' da questa triste realtà sono quelli in cui partecipa alle prove del musical "Tutti insieme appassionatamente" e sogna di esibirsi in fantasiosi numeri musicali; a far precipitare la sua vita nella tragedia ci pensa un poliziotto disonesto che vuole rubarle i risparmi necessari all'operazione del figlio.
Sembra quasi una variazione in chiave musicale de "Le onde del destino", ancora una volta con una protagonista virtuosa costretta a sopportare un martirio personale in un mondo dove domina l'ingiustizia. Tutto il sub-plot che riguarda la cecità impellente della protagonista e del figlio sembra un melodramma già sfruttato in molte altre pellicole, dunque privo di originalità, ma devo riconoscere che il regista è molto bravo nel creare atmosfere desolate che accompagnano il disperato cammino di Selma, e in questo ha saputo avvalersi perfettamente delle risorse tecniche, dal montaggio in stile "Dogma 95" al frequente uso della macchina a mano. I numeri musicali mi sono piaciuti proprio perché sono molto diversi dallo standard hollywoodiano, in questo caso tendono ad un pathos che trasmette soprattutto tristezza allo spettatore, ma risultano senz'altro originali, strettamente legati alle magnetiche performance canore di Bjork: il più significativo mi è sembrato quello contenente la canzone "I've seen it all", un'evasione di Selma nella dimensione del sogno. Nella sua qualità di attrice improvvisata, Bjork funziona perchè riesce a trasmettere con bravura allo spettatore la fragilità del personaggio e la sua ostinazione, e von Trier ha saputo dirigerla con efficacia tenendola il più delle volte a freno; apprezzabile il coraggio di Catherine Deneuve nel voler apparire in questo film, anche se il suo personaggio risulta, inevitabilmente, un pò improbabile. La perorazione contro la pena di morte nel finale è certamente condivisibile, per quanto forse un pò appiccicata al tema centrale del film; il finale risulta abbastanza rischioso in termini emotivi, ma rientro nella parte di spettatori che si è commossa e che può affermarlo senza vergogna. Nel complesso, un film artisticamente valido ma che, come altri dello stesso autore, manca il bersaglio del capolavoro a causa di qualche eccesso di provocazione che lo fa apparire a tratti lievemente gratuito.
VOTO 8/10
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