Regia di Fernando Di Leo vedi scheda film
"Chissa' qual'è la ragione che porta gli uomini a diventare cattivi,beffarsi della ragione e nutrirsi di egoismo,sino alla degenerazione.Verrebbe da dire che in giro ci sono piu' folli che saggi,forse perchè il delirio di onnipotenza cattura piu' della droga."
Qualche giornalista siciliano ha scritto cosi' parlando di mafia,il film di Di Leo è la parabola di cio',d'un potere distruttivo,una malattia da dominio d'affari.Chi è al vertice gode d'un aura immortale,almeno cosi' sembra,ma non è cosi': come :"ogni cosa umana ha un inizio e una fine" diceva il giudice Giovanni Falcone.Il "Boss" è un cataclisma affaristico che impregna la Sicilia e i piani alti della politica.La trilogia del "milieu" tocca qui il punto piu' alto,Di Leo costruisce una storia dura,dai toni stilisticamente urbani.S'inizia da un cinema,una proiezione porno che diviene "mattanza",come quella dei tonni siculi nella stagione della pesca.Un sicario di nome Lanzetta,volto di pietra e cuore duro,irrompe con un lanciagranate,facendo piazza pulita di onori e alleanze.Scena cattiva,marchiata di "genere",dove il teatro mafioso danza con la morte.Il "Boss" è un film lungimirante,inanellato da eventi masticati amaramente.L'Italia e la Sicilia come corti d'un malaffare atavico,scolpito nel viso di Don Corrasco.Richard Conte (ancora una volta lui) è la quintessenza d'una categoria purtroppo secolare.
E' lui "Il Boss" del titolo? la trama sembra inizialmente dirci questo,ma il susseguirsi della vicenda sgombra il campo da facili conclusioni.
Forte d'una narrativa sfacciatamente "noir",Di Leo sceglie la strada tortuosa.
Registicamente vi è una forte caratterizzazione dei personaggi,mafiosi,killer,"commissari" e "questurini" presentati energicamente,vestiti di corruzione e presunzioni,malati d'un potere dualistico.In film cosi' è la sinergia tra corpo e animo che deve fondersi.
E' il tentativo è enormemente riuscito,grazie ad un parterre attoriale ottimo,dove non esistono linee definitive tra bene e male.Esistono solo ragioni di lucro e affari,confinanti con rappresentazioni sociali sulla sfondo.
Sono gli anni 70 della contestazione e del sesso libero,dove la figlia d'un potente boss,concede il suo corpo ad un gruppo di scagnozzi.
La giovane donna è l'unica veramente libera nel corpo e nei sentimenti,aspetto sottolineato anche dal regista,la ragazza conserva barlumi di dolcezza umana e sensibile.
Tutto è pero' inutile quando il potere della mala travolge dignita' e amori.
I toni emozionali vengono cosi' azzerati,lasciando spazio alla "cinesi" da action movie,nei contenuti pregni di pulsioni da "cronaca nera".
Di Leo mostra nel "Boss" una solida maturita' registica,strutturando binomi tra mala e "giustizia" su di un solo livello.
Verrebbero cosi' in mente modelli "apologici" come lo "Scarface" di Hawks (1932),il virgulto del "noir" era pregno di moralismi consoni al suo tempo,dove mala e giustizia erano contrapposti,col bandito sfregiato esterno ai contesti da "palazzo".Un nemico da abbattere dunque per preservare l'ordine sociale.
Di Leo utilizza invece un linguaggio piu' corrosivo e diretto,la frase del commissario Gianni Garko parla chiaro: "Noi siamo dalla sua parte Don Corrasco,lei è un uomo d'ordine".
La mafia assume cosi' connotati parossistici,emblematici e introdotti sistematicamente negli organi di protezione e giustizia.
In ogni passaggio emergono queste dure verita',(tra)vestite da "colletti bianchi" e avvocati.Un contesto amaro,di atmosfere sulfuree e pragmatiche,dipinte sopratutto nei "villain" Richard Conte,Henry Silva e Pier Paolo Capponi.Esponenti d'un sistema arcaico e secolare,nei contesti "settantiani" da cinema artigiano.
L'Italia "poliziottesca" viene annullata,cede il passo agli sbirri collusi e a braccetto con "l'onorata societa'" e i suoi "mammasantissima".
Il finale ambiguo mostra un "colletto bianco" che alza una cornetta, la "mattanza" per il potere continuera'.........
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