Regia di Fernando Di Leo vedi scheda film
Di Leo va a chiudere con Il boss la sua cosiddetta trilogia del milieu, che aveva trovato nei due precedenti episodi le buone prove di Milano calibro 9 e La mala ordina. Anche qui non ci si può lamentare in quanto a ritmo, attori, trama, suspence (e le musiche di Bacalov, sempre ispiratissime); rimangono - come sempre nel genere - i gravissimi, incolmabili difetti nelle caratterizzazioni (sempre la stessa, vecchia storiella di buoni vs. cattivi), c'è qualche puntina lieve di erotismo (tette e nulla più), c'è un uso ricorrente della violenza esplicita, ben inquadrata in primo piano, su cui Di Leo ama indulgere e che bene o male è uno dei marchi espressivi del filone. Che dire? Può andar bene per chi si propone cento minuti di inseguimenti, sparatorie e delitti malavitosi senza soluzione di continuità (tanto che il regista chiude il film con la scritta 'Continua'), ma per quanto riguarda la storia (tratta peraltro da un romanzo americano), l'unica cosa apprezzabile da segnalare è il coraggioso abbinamento fra mafia e politica, che certo negli anni '70 non era una grande scoperta, ma ancora non veniva additato con tanta noncuranza come qui.
L'ascesa 'professionale' di un gangster assoldato da un mafioso che ha forti legami con la politica.
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