Regia di Fernando Di Leo vedi scheda film
Il film è ben fatto (nonostante qualche incongruenza, come quando Lanzetta colpisce Rina con uno schiaffo e l'addormenta per qualche ora, nemmeno avesse la mano imbevuta di cloroformio), avvincente, antiretorico, con sequenze d'azione asciutte e convincenti, recitato bene da un cast compatto, anche se non eclatante. A parte questo, una delle cose più originali del film è la scelta di mettere la scritta "continua", anziché "fine", nell'ultima scena. E infatti siamo ancora qui ad assistere alle imprese di Cosa Nostra e compagnia bella. I dialoghi sono credibili e non tacciono fatti scandalosi come il voto di scambio tra mafiosi e politici nonché alcuni fatti veri avvenuti a Palermo poco prima della lavorazione del film. Questo risultò talmente realistico che pare che Di Leo ricevette minacce di morte e temette seriamente che qualcuno "si prendesse cura di lui". Il merito della buona riuscita del film, appena un gradino sotto a "Milano calibro 9" (1972), va dato ovviamente a Di Leo, ma anche al musicista Bacalov (che qui compone una colonna sonora più convenzionale rispetto al film dell'anno precedente) e a un cast eccellente, dove Henry Silva sfrutta alla perfezione la sua faccia da museo delle cere ed è doppiato assai meglio che in "La mala ordina" (1972), Vittorio Caprioli impersona un questore all'antica ma onesto, Corrado Gaipa un avvocato a metà tra mafia e politica, Marino Masè un killer né migliore né peggiore di Lanzetta, Pier Paolo Capponi un boss sadico e Antonia Santilli (che recita malissimo ed è quasi sempre a culo nudo) una studentessa ninfomane. Gianni Garko interpreta forse il personaggio più inquietante: un poliziotto fanatico dell'ordine, che non esita a mettersi con i mafiosi "nell'interesse superiore dello Stato".
Eccellente, come quasi sempre nell'arco della sua lunga carriera.
Stavolta usa in maniera espressiva la sua proverbiale inespressività facciale.
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