Regia di Robert Stevenson vedi scheda film
Se ci si sforza per un attimo di dimenticare volontariamente in quale momento storico e in quale atmosfera politica questo film venne concepito e il suo palese afflato propagandistico,e se si ammette che per fortuna l'America dei nostri giorni è molto cambiata e riesce a tradurre le proprie psicosi in reazioni differenti da quelle che ci si potrebbe aspettare in un soggetto in preda alla Sindrome di Alamo, ci si rende conto che "Schiavo della violenza" è un film tutt'altro che da buttar via - quasi un manifesto del film giallo/nero d'azione. Il cast, ottimo, riesce in parecchi momenti a far dimenticare (o a farci sorvolare) i tanti aspetti stereotipati dei personaggi che devono mettere in risalto in continuazione da che parte stanno i "buoni" e da che parte i "cattivi",tanto più che qui i "cattivi" non sono trattati in chiaroscuro ma sono monoliticamente malvagi, impegnati senza sosta nella macchinazione di orrende malvagità e omicidi a sangue freddo. Come documento dell'aria che tirava a Hollywood in quegli anni,tanto di cappello alla chiarezza con cui veniamo indirettamente informati, anche se ,"cum grano salis" , bisogna poi riflettere sul perchè di tante cose.
Tristo personaggio dal fisico massiccio e dallo sguardo fortemente indagatore (della serie "vietato battere le ciglia"), è l'anima nera delle crudeltà perpetrate dall'inizio alla fine in nome della lotta per il trionfo del comunismo con tutti i mezzi.Per fortuna l'attore è bravo e non si lascia andare troppo ( un po' magari sì, però....) ai facili effettacci dello strabuzzamento d'occhi per esprimere cattiveria.
Attore dai mezzi espressivi estremamente controllati e usati con sobrietà, qui anche troppa, fino al punto di conferire al suo personaggio un chè di opaco: risulta così una specie di grillo parlante che nessuno ascolta , ma che però ,alla fine dei conti, si beccherà la diva in gramaglie!
E' il punto debole di un cast peraltro forte, l'unica che si affida ai manierismi della scuola dell'altro ieri senza troppi pudori. La Day ha un viso strano, un po' come Jean Arthur : bastava sbagliare l'inquadratura di una infinitesima frazione di grado, e l'angelo diventava istantaneamente un cavallo con tanto di scucchia. Ricordo, in "The Making Of Gone With The Wind", il suo provino per la parte di Rossella: grazie al cielo che Selznick non era cieco e la lasciò andare a nitrire in altre stalle. Se ben diretta, comunque, riusciva ad ottenere dei buoni risultati, come in "Il prigioniero di Amsterdam" (merito di Hitchcock) e "Il segreto del medaglione", perfetta rendizione di una psicologia disturbata.
Grande attore e grande maschera: impressionante il momento finale in cui si avventa correndo a testa bassa sul perfido Gomez che sta per uccidergli la moglie,e , incurante dei proiettili che lo raggiungono, riesce a salvarla prima di morire.E lo ricordate in "La confessione della signora Doyle", con la Stanwyck che lo ghermisce baciandolo e gli infila le mani dentro la canottiera?!
Stevenson, regista dalla resa spesso diseguale, riesce qui a condurre felicemente in porto una storia contorta e tesa, evitando quasi del tutto di impaludarsi troppo nelle trappole del preconcetto propagandistico, presente sì ma non soverchiante sulla qualità dell'opera nel suo insieme. Il bianco e nero è molto suggestivo nella sua morbidezza , e il ritmo della narrazione segue un suo filo coerente ed armonico: certo non c'è tempo per una definizione accurata dei caratteri, ma essi vengono sbozzati con efficacia dal regista che si avvale della collaborazione di attori spesso presenti già da tempo nei primissimi serials TV americani, e abituati quindi a rendere al massimo nel minimo tempo indispensabile. Bellissima è Janis Carter, in certi momenti curiosamente quasi una sosia di Rita Hayworth ne "La signora di Shanghai" per statuaria struttura fisica generale, struttura del viso e pettinatura, ottima controparte della un po' troppo sdolcinata Laraine Day.
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