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Terrore nello spazio

Regia di Mario Bava vedi scheda film

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George Smiley

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Terrore nello spazio

di George Smiley
9 stelle

Viene da sorridere al pensiero che un piccolo film di fantascienza italiano a basso costo della metà degli anni '60 sia stato così importante per il genere della fantascienza virata sull'horror degli anni seguenti. Il pensiero corre immediatamente ad Alien di Ridley Scott, il quale riprende molti tratti della trama di questo mini-cult di Mario Bava, pur ampliandone all'inverosimile i sottotesti e le suggestioni tematiche e rivestendolo di una ricercatezza visiva e formale senza precedenti, ma non solo al celeberrimo film del 1979: tutta la produzione fanta-horror avvicendatasi dal 1965 in avanti fa riferimento a quello che è facile definire come uno dei migliori tre film italiani di fantascienza (essendo il 95% dei lungometraggi italiani di tale genere pure trashate fatte per cavalcare l'onda del successo di film hollywoodiani ben più famosi), insieme a L'ultimo Uomo della Terra (1964) e Nirvana (1997). E dunque un ulteriore plauso va fatto al grande Bava senior, vero regista d'avanguardia che si proponeva di portare alla ribalta un cinema popolare e squisitamente artigianale che rappresenta una delle pagine più belle dell'Italia cinematografica, plasmando i propri film con amore paterno e occupandosi in prima persona del comparto tecnico, della sceneggiatura e della regia moderna e ispiratrice di innumerevoli registi delle generazioni dopo. Qualcuno qui su FilmTv ha scherzato, anche pesantemente, sulla povertà di mezzi  a disposizione e sull'evidente carenza di soldi con cui hanno avuto a che fare i realizzatori di "Terrore nello Spazio": beh io dico che non c'è cosa più bella della fantasia, della competenza e della bravura con cui si sono saputi arrangiare con i mezzi a disposizione, a dimostrazione che la forza del cinema è quella di saper trasformare delle scenografie di cartone in un pianeta sconosciuto, dei modellini di plastica in delle navi spaziali, un fondale dipinto nell'incommensurabile profondità dello spazio e della polenta bollente in un fiotto di lava incandescente. E il bello è che, se si accetta il compromesso, l'operazione funziona a meraviglia con quel particolare fascino vintage delle pellicole di un tempo. L'ambientazione asettica dell'astronave, le tute futuristiche degli astronauti, l'habitat ostile e primitivo del pianeta apparentemente disabitato sono il fiore all'occhiello di una scuola di professionisti nell'arte dell'invenzione che non ha eguali. Dulcis in fundo la famosa nave aliena scoperta dai protagonisti con la famigerata trasimissione audio che li ha attirati in quel mondo lontano e l'apparizione degli scheletri di giganteschi alieni umanoidi (che genio Mario Bava! Ridley Scott, Hans Ruedi Giger, Dan O'Bannon e tutti i fan di Alien compreso me ti ringraziano) dimostra ancora una volta la capacità di inquietare lo spettatore e di caricarlo di mistero con dei semplici trucchi da prestigiatore/artigiano. Se proprio vogliamo trovare dei difetti, si potrebbe dire che i personaggi sono alquanto piatti e quasi tutti uguali nella caratterizzazione, a parte il protagonista interpretato da Barry Sullivan che si eleva al di sopra degli altri grazie a una buona interpretazione. Ma tutto il resto è Bava-Show: i piani-sequenza, le lunghe carrellate, gli zoom improvvisi contribuiscono alla costruzione della tensione, merito anche di un sonoro davvero curato nei minimi dettagli, a una fotografia perfetta nell'utilizzare al meglio i giochi di luce e di un'idea di base che sfrutta la paura recondita dell'essere umano di diventare involucro per qualcosa di invisibile e sconosciuto che si insinua nella nostra mente e ci controlla (e qui si nota l'attenzione del regista al cinema horror americano, vedasi "L'invasione degli ultracorpi", da cui comunque il film in questione si distacca egregiamente); ma la scena che rimane più impressa è quella della resurrezione dei morti viventi, girata con un raffinatissimo e ansiogeno ralenty che riprende i corpi degli astronauti morti mentre si risollevano dalle bare (anche George Romero ringrazia). E il colpo di scena finale, che non intendo svelarvi, è da almanacco dei finali a sorpresa e non mancherà di turbarvi profondamente nel segno di uno dei più sottovalutati ma importanti registi italiani di sempre.

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