Regia di Pier Paolo Pasolini vedi scheda film
Pasolini cerca la ripetizione, l'iperbole violenta, fino a toccare vette che il cinema non ha mai toccato.
Durante l'occupazione nazista, alcuni pezzi grossi del regime fascista si chiudono in una villa con dei prigionieri politici e li sottopongono ad umiliazioni e torture di carattere erotico.
E' l'ultimo film di Pasolini e probabilmente il più forte, il più duro, al punto che lo si potrebbe quasi considerare un horror politico. Pieno di eccessi fino all'inverosimiglianza, toccando le atroci punte dell'irrealismo, dell'improbabile che qui corrisponde ad una precisa scelta stilistica, Pasolini ci sciocca e ci turba, il tutto per mostrarci una poesia violenta e macabra, che va ad esplorare il male, il male senza speranza, il male a cui non c'è via d'uscita, tutto il male che c'è dentro l'animo umano quando esso viene a contatto col potere. Perchè è terribilmente riduttivo (se non idiota) considerare il film una critica del regime fascista, è piuttosto una metafora della crudeltà del potere, della sua assurdità che corrode l'anima e contagia i puri, li contagia di un male che è in tutti gli umani ma allo stato latente. Pasolini cerca la ripetizione, l'iperbole violenta, fino a toccare vette che il cinema non ha mai toccato forse. Vedendo le torture che i fascisti infliggono alle loro vittime non si prova neanche rabbia o indignazione, piuttosto dolore, rassegnazione, impotenza, tristezza... Il film è una poesia del male che pervade tutto e non lascia speranza. Ma nella sua crudezza, nella sua violenza così cieca e brutale, che lo rende in certi tratti addirittura inguardabile, la pellicola diventa bellissima, poetica, elevata e questa fredda poesia del male risulta perciò quasi affascinante ed il suo fascino malato penetra nelle vene dello spettatore come un virus ed alcune immagini, temo, non mi usciranno mai più dalla mente.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta