Regia di Luca Guadagnino vedi scheda film
Scrivere una sola riga di questo film senza svelarne l'argomento è un'operazione fin troppo complessa per le mie limitate capacità perciò, per una volta, giocherò a carte scoperte invitando chi voglia curiosare solo un po', o chi voglia rimanere all'oscuro del contenuto, a girare i tacchi all'istante e cercare altrove qualche brillante articolo che eviti con cura l'utilizzo dell'inquietante termine "cannibalismo". Di ciò si parla nel nuovo e chiaccherato film di Luca Guadagnino che rischia, per l'argomento trattato, di finire nelle bocche di molti ma di essere ingerito da pochi. A rischio di sembrare banale direi proprio che "Bones and all" è un film difficile da digerire e mi chiedo come abbia fatto la scrittrice Camille De Angelis, orgogliosamente vegana, a sostenere il perpetuo senso di nausea che stringe lo stomaco in una morsa attanagliante. Dalla rivelazione shock sotto un tavolo di vetro che nulla lasciava presagire, se non uno scambio di confidenze tra amiche, fino alla fuga dalla città di Columbus, il film è psicologicamente insostenibile per chi come me sia troppo abituato all'immedesimazione. Il menù è parecchio tosto e non basta un grappino dopo pasto per regolare il transito...delle emozioni e dei pensieri che gravitano intorno a questo paesaggio americano bello e selvaggio ospitante un'umanità precaria e dal deprecabile comportamento.
Negli anni '80 il sogno americano e all'apice del suo consumismo eppure Guadagnino lo strappa via a morsi anzitempo lasciando scoperte le parti molli e putride di un'America, povera, scrostata, gretta e sull'orlo del baratro. La carrellata di personaggi è sconvolgente e l'eco della follia di Jeffrey Dahmer, che sul finire degli Ottanta condensò la maggior parte dei suoi atroci delitti, si espande nell'aere come l'odore dei cannibali sazi, di quelli a pancia vuota e delle persone vicine all'esperienza della morte. Costretti a mordere, per sopravvivere ai propri demoni interiori, i cannibali di Guadagnino ricordano i vampiri di Jarmusch obbligati, controvoglia, a succhiare il sangue delle proprie vittime per rimanere ancorati alla vita.
Luca Guadagnino sa il fatto suo nel padroneggiare i tempi cinematografici. Utilizza inquadrature efficaci che rivelano quanto basta portando all'esasperazione la tensione emotiva.
Le ossa rotte del pollo sul tagliere, decongelato e pronto per essere infornato, e il taglio netto del limone, che inquadrato dal lato nascosto della lama lascia pensare ad un dito tranciato di netto, preannunciano l'angosciante libagione di Maren e dell'infido Sully, personaggio, quest'ultimo su cui Guadagnino proietta tutte le proprie ansie tra movimenti di labbra alla Annibal Lechter, denti marci e stuzzicadenti affilati come punteruoli. È indubbiamente il personaggio chiave che dà il via al banchetto finale in cui l'orrorifica catarsi di Maren e del fidanzato Lee si compie garantendo a ciascun personaggio l'interazione tra divino e terreno. Un "Crash" culinario che mette il punto su una storia d'amore al suo massimo splendore e che mette fine all'ingenuo tentativo di omologare la diversità allo standard comune.
"Bones and All" è una metafora sulla diversità e sul ruolo salvifico dell'amore che sfama l'anima di coloro che stazionano ai margini della società. "Bones and All" è anche il tentativo di spiegare un incessante processo di trasmissione del male. Il regista italiano ci lascia il respiro per un po' ma quando le pareti dello stomaco si sono rilassate a dovere ci coinvolge nel ricongiungimento familiare, preludio ad una sconcertante ma efficace similitudine tra la trasmissione genetica del "morbo cannibale" e quella del male che si propaga di generazione in generazione. Il regista cerca una spiegazione negli appetiti non comuni dei due giovani tramutando la scienza in simbologia del perpetuo (o)errore dell'umanità.
In questa fase si può intravedere un ulteriore strato lipidico nella sezione del corpo filmico. C'è un cannibalismo fisico che esige il nutrimento del corpo, c'è un cannibalismo psicologo che vede nella carne l'appagamento sessuale ed emotivo ma vi è anche un cannibalismo sociale che si nutre delle disparità, fagocita chiunque sia debole, imprime il proprio modus vivendi a chiunque abbia una visione diversa della vita e dei valori considerati accettabili. È il cannibalismo dell'America ruffiana e consumista che non risparmia nessuno e crea divari insommortabili tra ricchi e poveri. Le braccia di Janelle, vittima delle sue stesse incontrollabili, ma persino caritatevoli pulsioni, ne sono l'emblema più efficace e agghiacciante. Guadagnino affida ancora il racconto alle immagini che passano davanti agli occhi sognanti di Maren, immagini che potrebbero alludere alla presa di coscienza del passato come alla morte del padre, sia a quelli di Lee che raccontano un parricidio efferato.
Quando, infine gli atavici istinti dei due giovani sembrano essersi assopiti, grazie all'amore che li lega rendendoli unici, ci aspetta la sterzata finale. La morte diventa un atto d'amore o di pietà e l'illusione annega in una vasca di sangue. Ma l'amore mutaforma penetra, nella sua più idilliaca rappresentazione, fino alle ossa.
Ottima regia, tempi della suspance efficaci, un Chalamet iconico, una Sevigny che ricorda la disperata Giovanna d'Arco di Dreyer, un Mark Rylance inquietante, la mefistofelica coppia Stuhlbarg/Gordon Green ed ultima, ma non ultima, una fotografia decolorata e rumorosa che ci immerge nel tempo del racconto, impreziosiscono un film dal finale spiazzante e difficile da somatizzare ma di sicuro livello artistico. Non per tutti gli stomaci.
Charlie Chaplin Cinemas - Arzignano (VI)
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