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Bones and All

Regia di Luca Guadagnino vedi scheda film

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La recensione su Bones and All

di maghella
8 stelle

1988- Maren (Taylor Russel) vive con il padre, ha compiuto da poco 18 anni, ma ne dimostra molto meno. Da poco tempo frequenta una nuova scuola e cerca di fare amicizia con le sue coetanee, per questo accetta un invito da una compagna ad andare ad un pigiama party a casa di una di loro. Maren scappa dalla finestra di camera sua, e raggiunge la casa dell’amica. Sarà proprio qui che Maren manifesterà la sua vera natura, mangiandosi un dito di una delle ragazze con cui stava scambiando piccole confidenze adolescenziali. 

Timothée Chalamet, Taylor Russell

Bones and All (2021): Timothée Chalamet, Taylor Russell

Comincia così il bel film di Luca Guadagnino, mettendo subito le carte in tavola, e facendo capire allo spettatore che tipo di linguaggio utilizzerà per i prossimi 120 minuti.

Maren rimane definitivamente sola, dopo l’ennesima fuga infatti, il padre decide di abbandonarla al suo destino, non riuscendo più a proteggerla. In un’audiocassetta le registra la sua storia, veniamo a conoscenza così imsieme a Maren, che la natura cannibale della ragazza si manifesta fin dalla tenera età, in cui ha mangiato prima una baby sitter, poi un bambino al campeggio. Il padre si è fatto carico del peso della figlia, nascondendo via via i corpi delle vittime, facendo perdere le loro tracce e celando le loro identità. Della madre di Maren non ci sono notizie, tranne il nome della città in cui è nata. Maren si mette così in viaggio per conoscere le proprie radici. La vita per strada la rende visibile molto presto alle persone come lei. Sully, un uomo di circa 70 anni, ne sente l’odore e la invita a seguirlo in una casa per ripararsi dal freddo e mangiare. Il pasto che divideranno non è ovviamente convenzionale: i due si spartiscono il cadavere di una donna anziana, che dopo ore di agonia lascia le sue membra ai 2 voraci ospiti. Dopo questa cruda esperienza, Maren per la prima volta comprende che non è sola, che altre persone sono come lei. Sully le insegna ad usare l’olfatto per poter riconoscere i suoi simili e come fare per trovare corpi da mangiare senza dover uccidere. Maren, da una parte fa tesoro dei nuovi insegnamenti, ma rimane sconvolta dall’incontro con il nuovo inquietante “amico”, e decide di abbandonarlo la mattina seguente, scappando per continuare il suo viaggio in solitudine. Ma il suo stato solitario dura ben poco, quando incontra Lee (Timothée Chalamet), un giovane ragazzo della sua stessa natura, con il quale nasce immediatamente un’intesa speciale. Lee è solo come lei, ma non ha tagliato completamente i rapporti con la sua famiglia, specialmente con la sorella, con la quale mantiene un legame speciale. Nonostante tutto, Lee decide di accompagnare Maren nel suo viaggio alla ricerca della madre, e ben presto i 2 si scoprono innamorati. 

Da questo punto in poi il racconto prende la piega del road movie, i ragazzi si spostano su un pick up per i vari stati americani, e si cibano in maniera mirata di carne umana: solo quando sono molto affamati e cercando di uccidere persone sole, in modo da poter poi utilizzare i loro mezzi e la loro casa per poter riposare. Nel viaggio incontrano anche altri come loro, e in questo caso la vicinanza con quelli della loro stessa natura non è mai piacevole: i cannibali si fiutano, misurano le loro esperienze, si raccontano le loro prime volte e l’immenso piacere nel consumare il pasto completo con “ossa e tutto”. Maren non accetta questo aspetto della sua natura, non vuole uccidere per assecondare la sua voracità, non si sente tossica ed è convinta che una volta arrivata da sua madre possa avere le risposte a tutte le sue domande. 

Purtroppo non sarà così. O meglio, una volta ottenute le risposte, le domande diventeranno altre e Maren cerca ancora la solitudine per affrontare i suoi demoni interiori.

Il film non finisce qui, ma forse finisce la parte che ho preferito. Infatti è nel primo tempo che ho trovato di mia soddisfazione il racconto. Nella seconda parte c’è stata qualche difficoltà -da parte mia- a ritrovare la giusta empatia per immergermi nella narrazione. 

Maren e Lee cercano una normalità che però non è la loro, ma è degli altri, ed è questo forse proprio il grande errore che faranno. Quando si fermano e trovano una collocazione fissa trovano una rilassatezza che gli fa abbassare le difese, e i demoni che avevano pensato di domare si mostrano in tutta la loro ferocia. Sully, infatti, era rimasto solo ai margini della storia, seguendo Maren come un lupo affamato, non l’aveva mai persa di vista. La fame di Sully però, è fame di affetto, di comprensione: dopo l’incontro con la ragazza aveva provato per qualche ora il piacere della condivisione e della complicità, finalmente non si sentiva più solo. 

Il finale è di grande effetto, un carosello di sangue ed interiora, in cui lo splatter assume un aspetto poetico, grazie alla mano sapiente del regista che con le dovute accortezze riesce a domare un linguaggio cruento in uno più autoriale. Il risultato è un finale aperto a molte interpretazioni, criptico solo superficialmente, in cui lo spettatore può trovare le risposte secondo le proprie sensibilità. 

Da qualche anno il linguaggio horror viene utilizzato, con ottimi risultati, per raccontare film di natura drammatica (vedi “Lasciami entrare”-2009 di Tomas Alfredson, o “Babycall”-2011 di Pal Sletaune, entrambi film scandinavi o il mio preferito in assoluto "Solo gli amanti sopravvivono"-2013) di Jim Jarmush), in cui le tematiche dell’emarginazione e della diversità vengono incarnati da personaggi mitici quali vampiri o fantasmi; in questo caso i cannibali di Luca Guadagnino si cibano di carne umana (come gli zombi), vivono ai margini (come i vampiri) e utilizzano i sensi come i licantropi, mostrando le fragilità e le ferite come i più umani di tutti. L’aspetto più affascinante e, allo stesso tempo, malinconico è come i simili si riconoscano e cerchino in qualche modo di sopravvivere alla loro natura: chi cercando di combatterla ed emancipandosi in ciò che reputano “normalità” e chi invece cercando semplicemente di accettarsi così com’è. Maren non comprende questo passaggio e prova con tutte le sue forze a disciplinarsi nei suoi istinti, Lee al contrario  asseconda la sua natura, trovando il massimo piacere proprio nel pasto completo, una sorta do over dose, che rimane per lui come il bicchiere della staffa per l’alcolista anonimo.

La bravura di Luca Guadagnino sta nel saper raccontare con la macchina da presa il contesto oltre ai personaggi, che diventano così parte del paesaggio proprio come i tralicci iniziali dei titoli di testa, che sono inevitabilmente il disagio al quale ci si abitua, con i quali si deve nostro malgrado convivere.

Timothée Chalamet, Mark Rylance

Bones and All (2021): Timothée Chalamet, Mark Rylance

Il mio personaggio preferito è ovviamente il più sofferente: Sully, una sorta di Leatherface moderno, che invece della maschera di cuoio porta con sé una lunga treccia fatta di capelli tagliati alle sue vittime incontrate durante il suo cammino; che parla di sé in terza persona, forse per sentirsi meno solo ed avere la parvenza di avere qualcuno al suo fianco. Ad interpretarlo un bravo Mark Rylance, che riesce ad offuscare in qualche  momento il bello e bravo Timothée Chalamet.

Ottima la scelta di alcuni brani dei Joiy Division come accompagnamento musicale.

 

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