Regia di Luca Guadagnino vedi scheda film
A Luca Guadagnino interessa dei corpi giovani che si guardano, si stringono e si amano. Del sangue, tutto sommato, non gliene frega un granché. L’istinto cannibale dei protagonisti di Bones and All, in cui rivive il fantasma di Near Dark di Kathryn Bigelow, è solo allegoria dell’inadattabilità dei protagonisti al mondo, della loro incapacità di “fare le persone normali”. Nel loro vagabondaggio per gli Stati americani, fatto più di dilemmi e fantasmi del passato che non di ammazzamenti, questi orfani della civiltà devono contenere la loro follia innata, per cercare di far male a meno persone possibile. Per Guadagnino è l’occasione di innescare più una serie di meccanismi melò, che non le premesse per un horror violento: genitori e figli lontani, tragedie estreme, eros e thanatos. Il viaggio dei due protagonisti è quello di un Badlands glamour in cui le incertezze adolescenziali (che Guadagnino ha di recente perlustrato in We Are Who We Are) ci sono ma sono in qualche modo ammorbidite, nonostante avvenimenti estremi e nonostante le oscurità in cui i protagonisti finiscono. Bones and All non è mai davvero un incubo inquietante, non lo vuole manco essere: c’è al massimo il mistero della scoperta delle proprie pulsioni, la voce istintiva ed emotiva che avvolge tutto, l’inabilità ad essere razionali. Ma forse a questo giro lo sguardo romantico di Guadagnino è troppo smaliziato, e i corpi che lui riesce così bene, di solito, a costringere in una patina pop, qui sono avvolti da questa perenne pellicola di sangue che paradossalmente li depotenzia, come depotenzia anche tutto il film. Se anche, in assenza di sangue, riconosciamo e ci appassioniamo alla storia della protagonista, così come alle usuali scariche elettriche guadagniniane (i sogni, i ricordi, che si palesano talvolta come interferenze subliminali), in presenza del sangue tutto il film si accomoda, allontana dalla passione, si traveste di una maschera poco necessaria. E alla fine il tentativo di amour fou che vuole disegnare Guadagnino appare frettoloso e si consuma prima che noi dall’altra parte l’abbiamo ancora davvero conosciuto. Nota a margine, ma importante: Chalamet interpreta il ruolo più sbagliato della sua breve carriera. Circondato da attori tutti in parte, a lui non si crede neanche un momento, e come in rari altri casi questo ha conseguenze estreme sull’intera qualità del film.
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