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Una donna chiamata Maixabel

Regia di Iciar Bollain vedi scheda film

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La recensione su Una donna chiamata Maixabel

di barabbovich
6 stelle

Rimasta vedova dopo l'assassinio nel 2000 di suo marito, il politico socialista Juan María Jaúregui, per mano di alcuni terroristi dell'ETA, Maixabel Lasa (Portillo) undici anni dopo decide di accogliere la proposta di adesione, da parte di una mediatrice, a un programma di riconciliazione tra vittime e carnefici. Così la donna, a dispetto della diffidenza di amici e parenti, imbocca la via del perdono di due dei tre uomini del commando che le ha ucciso il compagno di una vita, attraverso un percorso tanto doloroso quanto rasserenante.
Quando disegni i confini dei paesi con riga e compasso, devi aspettarti gli effetti collaterali del secessionismo e perfino quelli del terrorismo. Così è stato per i Paesi baschi, che in poco meno di mezzo secolo hanno prodotto più di 800 morti (torna alla memoria lo spettacolare omicidio di Carrero Blanco, raccontato in Ogro da Gillo Pontecorvo), spinti dal potere accecante di un'ideologia non disposta a compromessi. Il film della regista-attrice Iciar Bollain (pioggia di premi Goya per Ti do i miei occhi) si appoggia a fatti realmente accaduti per raccontare una storia di pentimento, perdono e rinascita. Il pericolo di fare un santino dalla parte di Maixabel è però dietro l'angolo, specialmente se le ragioni della parte avversa, quelle dei terroristi, vengono sostanzialmente ridotte a mero furore ideologico. È questo il neo più vistoso di un'opera di parola girata con sobrietà e senza svolazzi di virtuosismo visivo, cinema popolare che - pur riducendo la presenza degli altri personaggi a semplice contorno di un confronto difficile e stentato - ha il pregio di emozionare lo spettatore con compostezza, senza edulcorare il racconto. E regalandoci un finale commovente.

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