Regia di Dario Argento vedi scheda film
Il grande ritorno di Dario Argento non sfocia nell'auspicato colpo di coda che i fan attendono dai tempi de Il Cartaio. La filmografia del Maestro, in evidente calo qualitativo dopo i fasti degli anni settanta e ottanta, non riesce così a tornare ai livelli di guardia degni del talento di chi ha diretto film come Profondo Rosso e Phenomena. Occhiali Neri sembra seguire la via (nefasta) dettata da Giallo, contaminando il thriller col drammatico. Pur supportato da Franco Ferrini, che torna a collaborare col Maestro per un prodotto cinematografico dopo quasi venti anni, Dario Argento si perde, in scrittura, in tutti i difetti tipici della sua produzione. I dialoghi hanno degli scivoloni clamorosi (tipo il medico che saluta una paziente divenuta cieca e traumatizzata, congedandosi con un “a rivederla”), alcune scene sono fuori contesto (si veda la Pastorelli che annuncia la morte della madre del bimbo cinese nel momento più inadatto di tutto il film), l'assassino non viene minimamente caratterizzato (Argento lo usa solo come inseguitore e non dice niente di lui) arrivando a suggerire un movente che suscita ilarità (uccide perché puzza, cosa peraltro vera). Evidenti problemi anche di collegamento tra le sequenze, con Darione che ricorre al trucchetto delle dissolvenze per cucire le sequenze e tagliare parti di storia. C'è poi un ritmo irregolare che rende poca accattivante la storia, anche perché la scelta di giocare il tutto sul versante della drammaticità porta a un evidente calo dell'interesse negli spettatori. Che dire poi del comportamento dei poliziotti? La semplice visione di un comunissimo furgone bianco che gira a Roma getta nello scompiglio tutti i protagonisti, al punto che i poliziotti sparano pure a casaccio su un mezzo che avanza banalmente verso di loro, salvo poi tergiversare e disinteressarsi del potenziale assassino dopo che un collega è stato investito mortalmente e ha sparato contro il conducente che persiste a restare sul posto in bella evidenza a bordo del veicolo. Da notare anche l'elemento della targa del mezzo (registrata dalle telecamere di sorveglianza) di cui non è dato sapere niente, cioè se si tratti di un veicolo effettivamente oggetto di furto oppure (ipotesi da scartare per ovvie ragioni) se il furgone circoli per volontà del suo proprietario. Se la seconda ipotesi è facilmente scartabile, resta comunque incongruente il fatto che il soggetto non si liberi del mezzo ma preferisca cambiargli colore continuando a muoversi per giorni invece di disfarsene e rubarne un altro.
La storia è semplice e vede un serial killer pedinare e tentare di uccidere una ragazza rimasta ferita in una precedente aggressione dallo stesso tentata e conclusa a seguito di un incidente automobilistico. Inseguimenti stradali, fughe per il bosco con la protagonista che, stoltamente e inverosimilmente, urla per tutto il tempo dando un involontario aiuto all'inseguitore per instradarlo e metterlo sulle sue tracce, e una pineta romana che si trasforma in una giungla filippina con tanto di famelici serpi pronte ad avvinghiare in massa la Pastorelli modalità boa constrictor.
Dunque molti problemi, incomprensibili (se non ci fossero già stati i vari Dracula 3D e Giallo) per un film scritto e diretto da un Grande Maestro. Problemi che non sono certo riconducibili a difficoltà tecniche o a carenza di budget. Peccato davvero, perché la Pastorelli interpreta in modo convincente il suo personaggio, pur plasmandolo di quella romanità tamarra che caratterizza (con simpatia) i suoi personaggi. Argento le chiede anche due topless a cui l'attrice non si sottrae. Asia Argento convince meno, piazza due o tre espressioni durante l'inseguimento stradale che la vede pressata dal killer che lasciano alquanto perplessi e suscitano risatine in sala (ovviamente non ricercate nei propositi). Inespressivo il ragazzino cinese, che si incarta (lui o il doppiatore) anche nel proferire alcune battute. Le interpretazioni del resto degli attori non sono certo memorabili, ma neppure censurabili. Cammeo (tra i più inutili che mi sia mai capitato di vedere) per Antonio Tentori, scrittore e sceneggiatore di Lucio Fulci, Bruno Mattei (tra cui i due zombie movie di fine carriera) e Dario Argento (Dracula 3D), a cui viene riservata una battuta che sembra esser stata inserita a casaccio durante la lavorazione, magari sfruttando una visita di saluto alla produzione.
Veniamo ora alle note di merito. Notevole la fotografia di Matteo Cocco, già premiato con Globo d'Oro e David di Donatello (per la fotografia di Volevo Nascondermi). L'immagine è sempre nitida e chiara e tende a esaltarsi nelle condizioni più difficili, cioè in condizione di intensa oscurità.
Ben utilizzate anche le musiche di Rebotini, giocate sul ritmo piuttosto che sulla melodia e, pur non ai livello dei Goblin, idonee a caricare le sequenze ad alta tensione.
Interessante, a tratti, la regia di Dario Argento. Le inquadrature sono strette, si privilegiano primissimi piani particolarmente stretti, con volti non centrati e lasciati ai margini dello schermo con messa a fuoco sfuocata nella profondità di campo non occupata dal soggetto in evidenza. La mano del Maestro si vede in alcuni movimenti di macchina (c'è una carrellata in basso che ricorda Non Ho Sonno e alcuni movimenti sulla facciata di un albergo che rimandano a Inferno) e soprattutto nella brutalità di alcuni omicidi che portano al divieto ai minori di anni 14. Il film, infatti, dopo un prologo affascinante ma inutile (sequenza di una Roma periferica dove i cittadini guardano il sole durante un'eclissi), entra in azione con uno tra gli omicidi più brutali messi in campo da Dario Argento. Una morte, sicuramente, degna di entrare in una galleria argentiana. Lo spettatore inizia così a pensare che la pellicola possa davvero costituire un importante colpo di coda nella produzione del “nostro”. Invece, un po' come già avvenuto ne La Terza Madre, è un fuoco di paglia, sebbene si cerchi di restare su un piano più safe (senza innovazioni o sperimentalismi) provando, forse nelle intenzioni, a intavolare un soggetto quadrato e più sicuro. Si portano così in scena le difficoltà di recupero psicologico di due vittime di un intenso trauma. Il personaggio della Pastorelli deve metabolizzare un handicap che le rivoluziona la vita. Il bimbo cinese, invece, è alle prese con il trauma della morte dei genitori dopo uno spettacolare sinistro stradale (ben rappresentato da Argento). I due arriveranno a legare tra loro, nonostante i tentativi della polizia di ricondurre il bimbo presso l'istituto in cui è ricoverato e da cui è fuggito, trovando ospitalità dalla Pastorelli. Una scelta di copione questa che toglie linfa vitale all'intreccio thriller e orienta il tutto verso il drammatico. La parte finale, quasi action, finisce col rovinare le premesse, a causa delle tante incongruenze e della mancanza di pathos nel copione. Tutto viene demandato all'interpretazione della Pastorelli, costantemente in campo (in un ruolo peraltro non facile), e all'estro visionario di Dario Argento. L'epilogo, di nuovo brutale e innescato da semplificazioni intollerabili (un cane che si libera da una gabbia di un accalappia cani), è frettoloso e privo di trovate intellettuali.
In conclusione, resta la sensazione di un soggetto, anche interessante, sviluppato male, con fretta e con una certa svogliatezza, demandando la soluzione dei problemi a Sergio Stivaletti (bravo come sempre) e a qualche sequenza da brivido diretta da un Argento non più brillante come un tempo. Un po' poco per lodare il prodotto finale che, comunque, è superiore ai vari Giallo e Dracula 3D ma non risale troppo nella classifica della produzione del nostro fermandosi sotto Il Cartaio (superiore per costruzione e cast artistico).
Una nota finale per la locandina clamorosamente ricalcata su quella di Essi Vivono di John Carpenter, senza che vi sia una ragione di compatibilità tra le due pellicole.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta