Regia di Dario Argento vedi scheda film
AL CINEMA
I maestri della suspence sono spesso oggetto di amori incondizionati da parte dei cultori del genere.
Dario Argento, che fu un grande tra i più grandi, è così venerato che gli si tollerano anche tutti i passi falsi, le brutture, i pasticci compiuti da inizi anni '90 ad oggi, epoca a partire dalla quale il fu gran regista - ammettiamolo senza girarci su - non ne ha più azzeccata una.
Dopo Due occhi diabolici, le sue regie hanno spaziato tra l'orrore (nel senso meramente qualitativo del termine) alla bufala, al pasticcio, al ridicolo involontario.
Ritrovarlo a 81 anni, dopo due lustri dall'ultima regia (quel Dracula appartenente alla categoria dei meno peggio, ovvero del ridicolo involontario), e dopo la splendida ed inedita collaborazione come attore nell'ultimo quasi-capolavoro di Gaspar Noè, Vortex, rende ottimisti e speranzosi.
E Occhiali neri, lo diciamo subito, non è certo il punto più insostenibile della carriera argentina. Non si scende pertanto ai livelli infimi de La terza madre, insomma, o de Io fantasma dell'opera.
Ma che diamine però....lo abbiamo definito sopra, non certo per caso, "maestro della suspence"!!!!
Ma dove? Come? Quando? si riesce a trovare un attimo di sana suspence in questa storiella scritta puerilmente dallo stesso Argento con un esperto (o presunto tale) come dovrebbe essere ormai Franco Ferrini?
Lungo una storia che è sin imbarazzante raccontare, il film difetta di tensione già dal primo efferato omicidio: che avviene subito, senza alcuna attesa, utilizzando il solito gore sanguinolento a profusione, come se quest'ultimo si facesse garante di una tensione che invece latita del tutto, proprio per l'incapacità di costruire un senso di attesa che assicuri una parvenza anche minima di suspence.
Il resto della storia idem.
Con personaggi che entrano in scena e finiscono trucidati senza riuscire minimamente a definirsi o rendersi plausibili, bloccati da dialoghi imbarazzanti e recitazioni sottotono degne della peggiore fiction Rai.
Poi c'è pure il ridicolo involontario, con l'intervento dei capitoni da stagno....specie di fatto quasi in estinzione, ma che evidentemente pullula negli stagni dei boschi romani, ed impazzisce comprensibilmente dinanzi alle curve mozzafiato della Pastorelli (altra recitazione da manuale, altre gaffes colossali come l'ostinazione della sua protagonista ad indossare gli occhiali da sole pur da non vedente, arrivando anche a doverli necessariamente comprare a notte fonda, nonostante abbia decisamente altre preoccupazioni a cui dare precedenza, presso un capolinea deserto romano, ove si mantiene realisticamente in attività una bancarella dell'immancabile vucumprà che esercita con eroica solerzia nel deserto notturno, forte di uno spiccato, oltre che masochistico, senso degli affari).
Asia Argento entra e esce dalla storia con la coerenza dei cavoli a merenda, giusto per metterci la firma, più faccia e vocione, e permettere alla produzione di risparmiare sul cast, visto che ella figura tra i produttori. L'assassino poi è quasi un ruolo cameo, non molto più sfaccettato che quello completamente fuori di costrutto presente nello sgangherato e rimaneggiato Giallo.
Aggiungiamo, tra gli altri elementi pregiudizievoli, una fotografia banalissima e slavata degna di un reportage tv, e una boscaglia in notturno ripresa con luci sfavillanti che pare di trovarsi in discoteca dalla vegetazione tropicaleggiante.
Ecco, con tutto l'affetto, con tanta buona volontà, tenendo anche conto di qualche sporadica valida inquadratura notturna del centro romano (ma se si ripensa a Il gatto a nove code, con un cieco di ben altro spessore al centro della vicenda, nientemeno che Karl Malden, ci coglie lo sconforto), nonché della costante presenza anche qui, come in molti altri film di Argento, del regno animale come alleato fedele della vittima (se si eccettuano le infide, esilaranti anguille di cui sopra), si può davvero salvare una pellicola del genere?
L'avesse diretta un perfetto sconosciuto, essa sarebbe stata destinata alla gogna pubblica, oppure forse ancora peggio diretta al più veloce, incurante oblio.
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