Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film
Fine 2016. Si ritrova la famiglia Bellocchio, come ogni anno per le feste. Marco, ormai tra i più anziani del gruppo, decide di filmare quell'incontro, conscio che ne potrà venire fuori un film. Ma ancora non sa quale. Molto presto l'argomento si palesa dinanzi ai suoi occhi come il metaforico elefante nella stanza: il suicidio di suo fratello gemello Camillo a 29 anni, nel dicembre del 1968.
Marx può aspettare è il film che per tutta la vita Marco Bellocchio avrebbe voluto fare, ha provato ripetutamente a fare, non ha avuto sufficientemente coraggio di fare. Un tributo a una parte fondamentale della sua esistenza, spazzata via troppo presto e senza preavviso chiaro; un viaggio a ritroso alla ricerca e alla riscoperta di Camillo, il suo fratello gemello suicidatosi nel 1968 ad appena 29 anni. La famiglia per il cineasta piacentino è sempre stato un punto saldo, sia della sua etica di artista che esplicitamente tra i suoi argomenti in una narrativa fin troppo spesso scopertamente autobiografica; tanto è vero che, e lo ammette lo stesso Bellocchio nel corso di questo lavoro, la frase “Marx può aspettare” veniva già citata in una sua precedente pellicola a soggetto. Queste tre enigmatiche parole rappresentano la troppo lucida risposta di un Camillo ormai giunto alla resa dei conti con sé stesso al blando tentativo di Marco di aggirare il problema, cioè il malessere sempre più evidente del fratello, trascinando il discorso in politica. Se da un lato c'era un Marco investito da ponderose responsabilità artistiche che vagheggiava di rivoluzione, dall'altra c'era un Camillo per il quale Marx poteva tranquillamente aspettare: c'erano questioni molto più urgenti, private, da risolvere. Nessuno lo aveva realmente capito, come spesso succede in questo tipo di situazioni drammatiche. Neppure all'interno di una famiglia numerosa, unita e vicina come è sempre stata quella dei Bellocchio. Alla lunga la visione di questo lavoro può risultare ostica, dati gli argomenti pesanti e l'atmosfera da resa dei conti, ma senz'altro il risultato va elogiato per la chiarezza meticolosa, per la cura con cui il regista mette a nudo i sentimenti mai sopiti di mezzo secolo. 7/10.
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