Regia di Francesca Archibugi vedi scheda film
La vita di Marco Carrera, medico toscano sposato con Marina, con una figlia di nome Adele e una routine borghese tutto sommato gradevole, nasconde in realtà una serie di traumi. Traumi che ne hanno segnato l'intera esistenza, dalla morte di una sorella giovanissima per leucemia, all'amore mai consumato con Luisa.
Il romanzo di Sandro Veronesi premio Strega (il terzo per lui) 2020, Il colibrì, viene portato sul grande schermo da Francesca Archibugi con una sceneggiatura – in rete c'è chi sostiene non sia troppo fedele alle pagine di partenza – firmata dalla stessa regista insieme a Francesco Piccolo e a Laura Paolucci. È francamente difficile appassionarsi alle vicende umane del protagonista Marco Carrera, per quanto ben reso da un ispirato Pierfrancesco Favino, circondato da buonissimi interpreti nei ruoli centrali (Laura Morante, Kasia Smutniak, Nanni Moretti, Berenice Bejo, Alessandro Tedeschi, Benedetta Porcaroli, Valeria Cavalli, Massimo Ceccherini); il problema principale risiede presumibilmente proprio in fase di scrittura, nella scelta di due espedienti 'facili' per attirare l'attenzione o quantomeno per fare qualcosa di particolare, che non vanno però a segno. Il primo è il rimescolamento delle carte: la storia viene infatti narrata su più piani temporali alternando sequenze ambientate negli anni '70 ad altre in un futuro prossimo all'uscita della pellicola (2023); il secondo è l'idea di riempire la trama inserendo dettagli 'forti' (per es. la leucemia della sorella, le bugie patologiche della moglie) che però si accumulano senza risultare più di tanto originali o significativi. Anche l'intuizione di mettere Moretti nei panni dello psicanalista (indimenticabile in tale ruolo nel suo Habemus papam, 2011), al netto dei suoi noti limiti di recitazione, non brilla decisamente. Tutto rifinito al punto giusto per quanto riguarda il lato prettamente artistico del lavoro, sia chiaro; ma Il colibrì non è un film che lasci grande impressione di sé, sembra continuamente una buona occasione mancata, forse solo sfiorata. Da apprezzare senz'altro la costruzione del pathos nel finale. 6/10.
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