Regia di Francesca Archibugi vedi scheda film
In questo Premio Strega di Veronesi adattato dalla Archibugi, campeggia un Pierfrancesco Favino insolitamente disinnescato. E’ il centro perenne di questi cinquant’anni di storia familiare freneticamente frullati assieme, dove si barcamena in una serie di passioni, disgrazie, schizofrenie e personaggi borderline da far perdere il senno a chiunque.
Il nostro Colibrì invece - definito inizialmente così dalla madre per la sua gracilità - sembra destinare tantissimo sforzo affinché gattopardianamente nulla cambi, così lo inquadrerà infatti la sua eterna platonica amante.
A ben guardare invece, sembra di assistere ad un novello Forrest Gump, dove comunque Favino la vita la sconquassa per bene: bruttarello riesce a far invaghire la bonazza vicina di casa che tresca pure col fratello di lui, molto più carino; va a pescarsi la moglie in base ad un’illuminazione del destino (chi riuscirebbe di noi comuni mortali?), iscrive la figlia a scherma perché questa immagina un filo dietro di lei, e quindi cosa migliore di attaccarcelo davvero? Molla serenamente 840 mila euro vinti a poker, lascia la moglie in clinica psichiatrica, tirerà su la nipotina che saprà nera solo al momento del parto..e via coi quadretti sbalestrati di vita sottosopra.
Già dagli anni 70 nella loro agiatissima villa al mare scopriamo inquietudini sentimentali e sbalzi d’umore preoccupanti.. pensa se erano poveracci di periferia, poi dice che anche i ricchi piangono.. tutto affastellato di rogne varie fino alla spettacolare eutanasia in giardino, dove vengono invitati tutti tranne l’amico Duccio (Totò menagramo dei poveri, ce l’avrei visto bene nella scena clou, con la siringa fatale che s’inceppava..), da brividi solo per l’assurdità.
Nel mezzo da segnalare un Moretti psicanalista da strapazzo sconvolto perché una paziente vuole far fuori il marito (aveva cominciato il giorno prima ad esercitare?!), perfettamente propedeutico però, immagino, per il suo ultimo film ora in sala.
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