Regia di Francesca Archibugi vedi scheda film
NELLE SALE ITALIANE DAL 13 OTTOBRE 2022
VISTO AL CINEMA “KING” (Lonato del Garda, Brescia)
Film tratto dall’omonimo toccante romanzo di Sandro Veronesi del 2019 (La Nave di Teseo, 369 pp., brossura), racconta la tormentata esistenza del protagonista Marco Carrera, medico oculista fiorentino, interpretato dal solito bravissimo Pierfrancesco Favino (sempre quest'anno Nostalgia), al quale va il merito dell’abbondante sufficienza da assegnare, a mio avviso, a quest’opera di Francesca Archibugi (ottimo nel 2008 il suo Questione di cuore). La pellicola paga, in sede di giudizio finale, l’impossibilità di restituire la potenza drammatica del libro, quella più intima dei protagonisti, costretta da tagli e accelerazioni che ne impoveriscono l’osservazione psichica. Una componente che nelle pagine di Veronesi ha una valenza dominante.
L’impalcatura allestita dalla regista romana si regge sull’uso quasi frenetico dei salti temporali, indietro e in avanti, con ricorso ad abbondante trucco, sia e soprattutto per le parti in cui è indispensabile l’invecchiamento dei personaggi, sia per quelle in cui è servito ringiovanire gli attori, in alcuni casi con l’utilizzo di interpreti ragazzi e bambini. Così Favino, che nella seconda parte del film appare ultrasettantenne, nei tanti flashback torna in continuazione ai cinquant’anni, ai trentacinque se non addirittura all’età scolare. Si tratta di una delle pecche di quest’opera filmica che nel rispetto della costruzione del romanzo cui s’ispira, paga un notevole appesantimento della godibilità complessiva.
Detto di Favino, che come spesso gli accade annulla del tutto il suo vago accento capitolino per sfoggiare stavolta una calata toscana inappuntabile, vanno segnalate le prove di due comprimarie: quella di Kasia Smutniak (Perfetti sconosciuti, 2016), forse alla sua interpretazione più impegnativa nelle vesti della moglie del protagonista, donna psicolabile e destinata al ricovero definitivo in una clinica per malati di mente. L’attrice nata a Varsavia dimostra una crescita nella capacità recitativa che merita di essere evidenziata; quella di Laura Morante (Lacci, 2020) – che per l’accento toscano non ha che da essere sé stessa (è originaria della provincia di Grosseto) – nel ruolo della nevrotica e imperiosa madre di Marco Carrera, in perenne lotta con un marito (nella parte troviamo il pistoiese Sergio Albelli, che sarà nel cast del prossimo lungometraggio di Donato Carrisi, Io sono l’abisso, nei cinema dal prossimo 27 ottobre) con non accetta di essere soggiogato.
Da segnalare anche un cameo di Sandro Veronesi e la partecipazione, di nuovo nei panni di uno psicanalista (come in La stanza del figlio e in Habemus Papam), di un Nanni Moretti che, a mio modo di vedere, sta progressivamente smarrendo la spontaneità e, quindi, il talento recitativo che per anni ne ha fatto anche un grande attore, oltre che originale cineasta. Pochi minuti di visibilità per il toscanaccio Massimo Ceccherini, nei panni dell’invecchiato amico d’infanzia del protagonista.
Nonostante le carenze evidenziate, consiglio a tutti la visione di un film che non mancherà, a tratti, di emozionare e far riflettere. Con il consiglio spassionato di recuperare il romanzo che ne ha suggerito la riduzione cinematografica, magari nella versione audiolibro, con l’ottima lettura dell’attore Fabrizio Gifuni. Voto 7,3.
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