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Il colibrì

Regia di Francesca Archibugi vedi scheda film

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La recensione su Il colibrì

di ethan
3 stelle

Dal romanzo omonimo di Sandro Veronesi (che appare in un cameo a braccetto con il personaggio interpretato da Laura Morante e in una foto), Francesca Archibugi - che in sede di sceneggiatura è coadiuvata da Francesco Piccolo e Laura Paolucci - trae 'Il colibrì' che, per chi scrive, è tra i film più brutti visti negli ultimi anni: il protagonista Marco Carrera (un Pierfrancesco Favino lasciato un po' troppo a briglia sciolta dalla regista romana) riunisce attorno a sé un tale coacervo di sfighe che se, all'inizio lo fanno apparire come un simbolo della tanto di moda resilienza, alla lunga, assommando sventure una dopo l'altra - una sorella suicida, madre (Laura Morante sull'esagitato) che muore a causa del cancro (dopo chemio di rito che fa tanto cinema ricattatorio) e padre anch'egli che non regge i cicli chemioterapici ed ha l'ossigeno, una moglie hostess (Kasia Smutniak) che ha donato il midollo alla sorella che però è morta ed ha una collega che l'ha sostituita nel turno ma (sigh!) muore in un disastro aereo dove anche lui sarebbe stato vittima se l'amico jettatore (Massimo Ceccherini nel ruolo da adulto) non avesse 'fiutato' la tragedia imminente, una figlia che morirà facendo sport (sarà una scopiazzatura da 'La stanza del figlio' o farina del sacco dell'autore o degli sceneggiatori?) - creano il classico effetto del troppo che stroppia e quel che poteva diventare un mélo fiammeggiante ne diventa involontariamente una parodia.

Ad accrescere il già fin troppo articolato andirivieni temporale, dato che la Archibugi sceglie una struttura a flashback con stacchi di montaggio, in alcuni rari casi, riusciti, ci sono una vicina (Bérénice Bejo a suo agio anche con l'italiano) da lui sempre amata e anche da lei corrisposta ma che non porterà a null'altro che qualche incontro saltuario, lo psicanalista della moglie (Nanni Moretti che, se non diretto da se stesso, generalmente parla come un libro stampato), un fratello più grande, il cui rapporto è 'ovviamente' difficoltoso.

Personaggi e situazioni che, magari nel romanzo funzionano, nel film paiono buttati a caso, alla rinfusa e più il tempo passa più la narrazione diventa farraginosa ed il tocco della cineasta, leggero nei primi, riusciti film ('Mignon è partita' - 'Verso sera' - 'Il grande cocomero'), diventa di una pesantezza letale.

Per non tacere del finale, con il personaggio principale che, malato terminale, sceglie l'eutanasia: preso pari-pari  da 'Le invasioni barbariche', è diametralmente opposto in quanto a resa filmica, poiché tanto era delicata e commovente la scena diretta dall'autore canadese, quanto qui risulta tutto pacchiano e meccanico.

Scena scult assoluta: Favino che, saputo del decesso della figlia, piange in macchina.

Da denuncia il trucco che fa apparire tutti i personaggi invecchiati assomiglianti al David Bowman di Keir Dullea, nelle sequenze finali di '2001: Odissea nello spazio'!

Voto: 3.

 

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