Regia di Ruggero Deodato vedi scheda film
Il soggetto originale di Clerici e Mannino, modificato da Dardano Sacchetti e confluito ne Lo squartatore di New York (1982), trova sfogo nella versione originale fortemente voluta dai due sceneggiatori, anche produttori del film. Ruggero Deodato dirige (bene) un buon cast (Fenech, York e Pleasence) per un thriller a tratti davvero angosciante.
Perugia. Dopo l'esecuzione di un concerto tenuto dal pianista Robert Dominici (Michael York), una dottoressa viene brutalmente uccisa. In seguito anche Susanna (Mapi Galán), fidanzata di Robert, muore per mano di uno spietato assassino. Dato che questa volta la vittima era anche fidanzata del musicista, i sospetti dell'ispettore Datti (Donald Pleasence) si orientano proprio verso Robert. Dopo un'occasionale relazione sessuale con Hélène (Edwige Fenech), Robert si reca a Venezia per trovare l'anziana madre. Afflitto da una terribile malattia incurabile - progeria - che provoca un invecchiamento precoce, Robert è davvero l'assassino: la dottoressa infatti gli aveva diagnosticato l'esito dell'esame, mentre la sua ragazza lo aveva tradito. Ormai del tutto fuori controllo a causa del progressivo avanzamento della malattia, che gli procura inarrestabile e veloce processo di invecchiamento, l'uomo mira a uccidere anche Hélène sfruttando il depistaggio delle indagini provocato da indizi che lasciano intendere essere in azione forse più di un assassino, dati i differenti riscontri rinvenuti sui luoghi dei delitti, che indicano il colpevole avere età sempre differente.
Notevole e originale thriller diretto con buona tecnica dal valido Ruggero Deodato, regista che tenta in questa occasione di prendere le distanze dal sottogenere horror che gli è valso il soprannome di "Mister Cannibal". Un delitto poco comune, noto anche come La casa di via Rubens, non è un whodunit in senso stretto, dato che lo spettatore vede in volto l'assassino già nel corso del primo tempo. Il regista può contare sull'apporto di Pino Donaggio alla colonna sonora, nonchè sulla bella cinematografia opera di Giorgio Di Battista. Notevoli anche gli effetti di make up, ma di particolare interesse appare la bella sceneggiatura opera del duo Clerici & Mannino (supportati nello sviluppo del soggetto da Gigliola Battaglini) se non altro anche solo per le curiosità inserite in coda alla recensione. Girato tra Roma, Perugia, Venezia e con una veloce scena in Alto Adige (quando il protagonista si reca a trovare un bambino affetto dalla medesima patologia) il film non è stato particolarmente apprezzato da Deodato. In una intervista rilasciata ai redattori di "Nocturno", il regista lamenta al girato una certa lentezza dovuta in particolare alla spiegazione della malattia e si rammarica, poiché gli sceneggiatori erano coinvolti anche come produttori, di non aver avuto voce in capitolo cercando, senza riuscirci, di modificare questa parte della storia.
Il film in effetti è molto triste per via del tema trattato, come sottolinea lo stesso Deodato che ricorda però essere particolarmente riuscito l'efficace momento, commovente e romantico, dell'incontro tra Michael York e il bambino dai lineamenti attempati. All'epoca d'uscita nelle sale, Un delitto poco comune suscitò un certo scalpore dato che il protagonista (York) era un vero sex simbol per il pubblico femminile e il ruolo del film non solo lo vede coinvolto come autore di feroci delitti, ma anche brutalmente trasformato dalla patologia (realmente esistente) rarissima e nota come sindrome di Hutchinson-Gilford. La Fenech, in questa rara occasione nella versione inglese non doppiata, torna al thriller - genere che le ha dato certa notorietà negli anni '70 (sui set di Sergio Martino e in altri gialli d'epoca) - dopo lunghi anni di assenza (Nude per l'assassino, 1975), essendo diventata nel frattempo protagonista prima delle "commedie sexy", quindi di quelle più sofisticate, finendo poi per abbandonare definitivamente i set cinematografici occupando dietro le quinte l'insolita veste di produttrice cinematografica, non prima però di essere coinvolta in qualche serie TV (Delitti privati, Il coraggio di Anna). Breve cameo di Ruggero Deodato a 12' e 30" del film, che inizia in perfetto stile Dario Argento apparendo dietro una vetrata, pochi istanti in anticipo sul primo omicidio.
Curiosità
La parentela tra questo film e il precedente Lo squartatore di New York (Lucio Fulci, 1982) è data da un soggetto in buona parte comune che ha subito svariati rimaneggiamenti (vedi lo stralcio di un'intervista fatta a Dardano Sacchetti, riportata in appendice). Clerici e Mannino, per l'occasione, hanno infatti risfoderato il loro scritto originale trasformato da Sacchetti ne Lo squartatore di New York (dove l'ammalata, non di progeria, era la piccola figlia dell'assassino). Per assicurarsi uno sviluppo in sceneggiatura fedele alle intenzioni originali, Clerici e Mannino si occupano anche della produzione di Un delitto poco comune. Probabile motivo che ha impedito a Deodato di mettere mano alla script.
Intervista allo sceneggiatore Dardano Sacchetti
Domanda: Nel 1982 Fulci realizza il giallo più violento della storia del cinema italiano (Lo squartatore di New York). Secondo il mio parere il film merita una rivalutazione perché è una delle rare volte che presenta una motivazione del killer plausibile. Fulci gira con una tecnica superiore a qualsiasi media e realizza un piccolo gioiello della nostra cinematografia. La violenza dei delitti, in particolare quello finale eseguito con una lametta, era così dettagliata anche nella sceneggiatura? Si è detto, inoltre, che lo stesso soggetto è alla base di Un delitto poco comune (1988) di Ruggero Deodato. Cosa c'è di vero in questa affermazione?
DARDANO SACCHETTI: "Una settimana prima della partenza per andare a girare il film in America (Lo squartatore di New York, n.d.r.), mi chiama De Angelis, perché Fulci non aveva il coraggio di farlo. Avevano una sceneggiatura di Clerici e Mannino, bravi sceneggiatori voluti da Fulci, che non li convinceva. Tutto ruotava intorno alla figura di un assassino malato di progeria, malattia degenerativa che colpisce i bambini intorno ai dieci anni e che fa loro invecchiare le cellule talmente rapidamente da farli morire di "vecchiaia" nello spazio di pochi anni. La scena clou era quella in cui l'assassino entrava giovane e usciva più vecchio, molto più vecchio e irriconoscibile (il modello era ovviamente Miriam si sveglia a mezzanotte, dove si parla per la prima volta della progeria - badate gente un film "originale" nasce sempre dalla costola di un altro film originale uscito prima. Aver frequentato Dario Argento per trent'anni mi ha insegnato qualcosa). Era un film che usava i mezzi del giallo, ma in realtà si interrogava sulla vecchiaia, sulla decadenza umana. Fulci non l'aveva capito. Pensava al giallo, pensava alle morti e quelle non gli tornavano perché erano state costruite per un altro scopo. In cinque giorni dovetti stravolgere un copione. Agendo non sulla struttura generale, né sul plot ma sulle situazioni, ovvero sulle morti e sui meccanismi del giallo. Operazione che, secondo me, è riuscita solo in parte per mancanza di tempo. Avessi avuto dieci giorni di più, in modo da poter intaccare anche le strutture, Lo squartatore di New York poteva essere davvero un piccolo capolavoro. Clerici e Mannino, che erano convinti di aver scritto un bel film, non furono avvertiti di essere stati sostituiti e si offesero. Protestarono e ottennero di potersi riprendere il loro copione originale, che poi, con qualche cambiamento, diedero a Deodato e divenne Un delitto poco comune."
"La malattia, la vecchiaia, la morte, tre grandi umiliazioni per l’uomo." (Remy de Gourmont)
Un delitto poco comune - Clip
F.P. 31/03/2021 - Versione visionata in lingua italiana (durata: 89')
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