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Ho solo fatto a pezzi mia moglie

Regia di Alfonso Arau vedi scheda film

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La recensione su Ho solo fatto a pezzi mia moglie

di scandoniano
4 stelle

Grottesca commedia con Woody Allen protagonista, che mutua dallo stile di quest’ultimo alcune tematiche fondanti, che oltre ad una spruzzata di salsa yiddish ricopre il tutto di atmosfere e ambientazioni tex-mex. Cast valido, operazione riuscita solo in parte.

La mano (con annesso dito medio alzato), frutto dell’efferato uxoricidio con sezionamento operato dal geloso macellaio Tex (Woody Allen), diviene oggetto di culto religioso, reliquia miracolosa che rianima (anche economicamente) una piccola comunità del New Mexico. I pellegrinaggi di bisognosi e di curiosi non mancano, ma Tex, pentito, prova a riprendersi la reliquia.

 

 

Uno come Woody Allen a capo di un cast variegato non è automaticamente sinonimo di qualità. Lo conferma “Ho solo fatto a pezzi mia moglie”, grottesca commedia firmata da Alfonso Arau, in cui l’originalità della scrittura (una mistura strampalata di sacro e profanissimo in salsa surreale) nutre la narrazione fino ad un’ipertrofia spesso al limite del fastidioso, tanto che l’accoppiamento selvaggio tra l’italiana Maria Grazia Cucinotta e il Ross di Friends (per di più vestito da prete) risulta tra le cose più normali di tutta la pellicola. Riti apotropaici, creduloneria popolare, preti spretati, suggestioni a sfondo mistico, ambientazioni cartoonistiche, circhi mediatici e fabbriche del miracolo, nonché un paio di figure clericali pescate dal piccolo schermo, sono decisamente troppa roba. È chiaro che di fronte ad un’operazione così ardita lo spettatore non può che optare tra abbandonare quasi subito la visione oppure lasciarsi trasportare dagli effetti allucinogeni del microcosmo allestito da Arau. Un microcosmo fatto in particolare di lussuria e religione spesso così a contatto da non essere più facce della stessa medaglia dell’animo umano, ma addirittura effigi stridenti sullo stesso lato di una moneta.

Un film che pur annoverando Woody Allen solo nel cast (inaspettatamente ben assortito assieme ai citati Cucinotta e Schwimmer, ma anche Kiefer Sutherland, Sharon Stone, Elliot Gould e Joseph Gordon-Levitt), ricorda e cavalca alcune delle tematiche del regista newyorchese, tanto che il surrealismo parodistico che si respira in molti tratti, più che a  “L’aereo più pazzo del mondo” si avvicina all’Allen sardonico ed irriverente de “Il dittatore dello stato libero di Bananas”. Il credito fornito dall’autore newyorchese probabilmente ha ingannato anche Vittorio Storaro, che presta la sua impeccabile fotografia ad un film che ne è comunque complessivamente indegno.

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