Regia di Marlen Khutsiev vedi scheda film
Le giornate di una ragazza moscovita, tra gli amici, la madre, e un fidanzato il rapporto col quale è ormai divenuto una minestra allungata senza più sapore.
È una pellicola originale e particolare, che colpisce anche per lo stile e le atmosfere che riesce a creare. Ricorda vagamente la nouvelle vague francese, ma pure possiede un'identità propria. È uno di quei film che non possono passare inosservati, e non possono mancare di lasciare un segno nella storia del cinema. È anche un'opera personale e lontana dagli schemi del cinema sovietico di allora.
La trama è estremamente semplice, ma narrata in modo sfumato e complesso, con molti concetti allusi e sottintesi. Una giovane donna capisce gradualmente di non amare più il proprio fidanzato – che pure è una brava persona – e se ne distacca gradualmente. Dall'altro lato, dialoga per telefono con un uomo visto di persona una sola volta, con il quale però sente il bisogno di confidarsi, e lui con lei. Se sia il possibile inizio di un nuovo amore non viene specificato. L'unico fatto certo sembra essere appunto l'aver capito di non amare più il fidanzato. Io non parlerei di scelta della solitudine o dell'indipendenza, come fa il Mereghetti, ma di incapacità o non convinzione di legarsi con una persona.
Il film è pervaso da una specie di leggerezza profonda, che rifugge lo spettacolo e l'enfasi, ma che scava a fondo dei personaggi e dei loro rapporti con sensibilità e delicatezza, quasi senza farlo in modo palese. Vi sono momenti in cui regna un'atmosfera particolare, sicuramente difficile da creare in un film. A volta essa è drammatica, ma il dramma è taciuto o solo accennato; altre volte è poetica, altre ancora svagata e rasserenata. Penso, ad es., all'episodio del picnic, pervaso da una specie di poesia dell'amicizia e della convivialità, il quale ricorda, peraltro, il più famoso picnic di “Mosca non crede alle lacrime” (1979).
In generale, si può dire che la pellicola ritragga una generazione che ha perso i suoi punti di riferimento, e non ha le idee chiare su cosa voglia fare nella vita. In fondo i giovani moscoviti di allora non erano così diversi dai giovani parigini o milanesi subito prima del '68. A questo proposito, colpiscono le inquadrature finali dei giovani con lo sguardo fisso, forse vuoto, forse interrogativo. Solo un vero regista libero dagli schemi può concepire un finale del genere.
Tra i personaggi compare il cantautore Jurij Visbor, le cui musiche a base di voce e chitarra ben si adattano al film, e rimangono lontane dal farne un film canterino o musicarello.
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