Regia di Nathalie Álvarez Mesén vedi scheda film
Particolarmente ostico, difficile e indigesto, questo “Clara Sola”, certamente di indubbio valore autoriale, si avvale di una regia e sceneggiatura che danno però l’impressione di subire il personaggio pensato molto più di quanto non sappiano costruirlo, un atteggiamento passivo/remissivo sostenuto anche dalla inquietante legnosità dei tratti somatici della protagonista, rigidamente intrappolato in un’idea che non sa (o non vuole, forse) liberarsi dalle trappole da se stessa innescate (bella la prima scena, in cui Clara tende disperatamente la mano verso la cavallina bianca attraverso un’invisibile barriera che le impedisce il contatto).
La vicenda scorre piuttosto blanda, pochi gli spunti emotivi così come quelli narrativi; e le pieghe panteistico/miracolistiche che la ornano nel non riuscito tentativo di dare a Clara una dimensione “ultra” sfociano in un finale clamoroso che a mio avviso conferma la non padronanza della situazione, un “laissez faire” che sceglie infine di sfogarsi (spero non di spiegarsi), anche con poco rispetto e scarso buon gusto, sul quel quoziente sacro già mal espresso (subìto, appunto) in precedenza.
Se mi si passa la volgarità: né santa, né troia. Ma appunto (e allora): cosa? Il “doppio” di un cavallo? o di uno scarabeo? Clara Sola (tanto il personaggio quanto il film) è per me personalmente un mistero che ho trovato non troppo affascinante, apprezzandone comunque gli sforzi e non capendone però le intenzioni.
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