Regia di Gaspar Noé vedi scheda film
L’essere e il nulla
L’insostenibile leggerezza del cinema.
In Vortex non c’è racconto, diegesi narrativa, solo micro spostamenti in avanti dell’orologio, la sensazione che il tempo stia per fermarsi è forte.
Quello che passa sullo schermo sono vita e morte, che non possono essere raccontate, se ne altera la sostanza, diventano altro.
Interi universi, quanti sono i protagonisti, ruotano in movimento gravitazionale verso un punto oscuro comune a tutti i corpi, la morte.
La vita, quella casetta di lumaca che l’uomo si porta appresso dalla nascita e che un giorno abbandona, per caso, per scelta, per malattia o vecchiaia, “quel punto acerbo che di vita ebbe nome”che le mummie leopardiane dell’illustre scienziato pensano come una dissolvenza cinematografica, è quella che Noé assegna ai due protagonisti del film.
“Dedicato a quelli il cui cervello muore prima del cuore”.
Didascalia di apertura, i titoli di coda scorrono all’inizio del film, Francoise Hardy canta la canzone dedicata alla rosa, alla sua vita breve.
Una coppia di cui mai si cita il nome, anziani ma ancora vitali, beve vino sul terrazzino fiorito di casa.
È vita, le piante ben curate sono vita.
Poi le immagini si sdoppiano in uno split screen fisso che divide in due lo schermo, vite parallele e distanze incolmabili chiuse in uno spazio claustrofobico, monadi senza porte né finestre intente ai propri rituali quotidiani come se non ci fosse altro al mondo.
L’ alzheimer s’insinua strisciando sulla scena fino a dominarla, la donna, chiusa in un limbo di silenzio, sta diventando incontrollabile. L’uomo sembra ancora vigile, un po’ traballante ma capace di reggere i suoi ruoli, chiama il suo editore, gli parla del titolo che darà al saggio sul cinema e il sogno che sta scrivendo, Psyche, e dice al figlio appena arrivato “la vita è un sogno nel sogno”.
Da Caldéron ad Allan Poe un mondo di parole scorre ancora nella sua mente.
Libri ovunque, tracce di una vita intensa, vissuta a livelli alti, lei psichiatra psicoterapeuta, lui critico cinematografico e scrittore, una moglie amata e un’amante da vent’anni anch’essa amata, ma tutto sta svanendo, si avverte la vicinanza alla meta.
E quando toccherà all’uno e poi all’altra, quella sezione dello schermo si annebbierà risucchiando l’immagine che conteneva, mentre l’altra continuerà inconsapevole il suo corso, anche se per poco.
Morte per consunzione, anche se ogni volta chiamiamo la causa del decesso in vario modo (per lui sarà un banale infarto) è soltanto l’arrivo, quando si annullano l’atto del vedere e dell’esser visti.
Semplicemente, si scompare.Questa è la morte.
Vita e morte, straordinaria sintesi in Vortex fra l’una e l’altra, c’è un pullulare di ricordi, impegni, sentimenti, affetti, delusioni e resurrezioni, insomma il vivere e il suo senso che pian piano la vecchiaia vanifica, come le scartoffie sulla scrivania, nella macchina da scrivere, vecchie carte buone a intasare il cesso, e una volta c’era stampato il genio, la parola che apriva mondi, il segno dell’intelligenza.
Due vecchi, due vite per lunghi anni insieme, si separano in un vortice di passo in passo più frenetico e doloroso, silenziosamente disperato .
La demenza senile di lei, i disturbi cardiaci di lui, la mente si annebbia, la parola si fa secca e inerte, qualche sprazzo di vita (la telefonata senza risposta di lui all’amante, figlio e nipotino in una breve visita saltuaria) tutto pian piano affonda senza drammi nel silenzio disarticolato.
Allo spettatore viene negato un centro unico di attenzione. Lo sguardo si smarrisce fra i due quadri, due spaccati di qualcosa che non è vita ma non ancora morte.
Noè gira un film profondamente compassionevole senza pietismi, sentiamo lo sguardo partecipe di chi ha vissuto personalmente drammi simili e sa che non c’è contorno di parole pietose e petali di rose, si muore come si vive, in automatico, spesso all’alba, prima che il nuovo giorno illuda con le sue promesse. Si vive senza pensarci troppo, convinti di essere eterni, e si muore sepolti dalla polvere del tempo.
La dissonanza prospettica è uno dei punti di forza del film, telecamere disposte in modo da annullare l’attesa visiva, a volte i due quadri s’intersecano, soprattutto quando entra in scena Stéphane, il figlio con un passato tossico, incapace di aiutare i genitori disastrato com’è , il figlio che qualcuno si ostina a definire “sostegno della vecchiaia” . Quel sostegno si rannicchierà sul grembo della madre alla morte del padre come un bambino.
Vortex non dá tregua allo spettatore preda di luoghi comuni sulla morte, la rappresenta così com’è, un Maelstrom che inghiotte senza troppi preliminari, un piano inclinato che le cure della vecchiaia s’illudono di esorcizzare, una dissolvenza che solo il cinema può rappresentare visivamente o la poesia dire con le sue analogie.
Umanissimo e crudele, Vortex volta la faccia allo spettatore negando magie ed esercizi spirituali, non crediamo che la morte sia stata mai rappresentata in modo così onesto e vero, così profondamente triste e senza lacrime.
I due vecchi senza nome erano qualcuno in vita, la loro casa li rispecchia, ma ora non conta, la morte è dura da comprendere ma è proprio questo, il nulla.
Tutto il resto è sovrastruttura, buona per non pensarci.
www.paoladigiuseppe.it
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