Espandi menu
cerca
Ogni maledetta domenica

Regia di Oliver Stone vedi scheda film

Recensioni

L'autore

Fabelman

Fabelman

Iscritto dal 4 settembre 2024 Vai al suo profilo
  • Seguaci 6
  • Post -
  • Recensioni 34
  • Playlist 5
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su Ogni maledetta domenica

di Fabelman
8 stelle

Ascesa, caduta e risalita di uomini, squadre, giocatori, allenatori in un vorticoso film di Oliver Stone che dirige un “Platoon” sportivo che mette al centro l’essere umano nel confrontarsi con la più impervia delle sfide: la solitudine.

“Ho paura!” Così sussurra Willie Beamen, il quarterback dei Miami Sharks, nuovo astro nascente, voltandosi e ritrovandosi solo in mezzo al campo mentre il coach Tony D’Amato scompare nel tunnel che dirige negli spogliatoi.

È un film che parla di persone circondate dal mondo intero ma fondamentalmente sole a combattere: la star della squadra Jack 'Cap' Rooney (Dennis Quaid) combatte contro l’inevitabile via del declino e una moglie che si dimostra sorda e insensibile alle sue richieste di comprensione e appoggio morale; la proprietaria e team manager Christina Pagniacci (Cameron Diaz) lasciata sola al comando dopo la morte del padre combatte contro l’establishment politico e finanziario che la spingono a mille compromessi, ma lotta soprattutto contro se stessa nel gestire un team secondo logiche al passo coi tempi che però cozzano con lo stile di chi ha portato negli anni grandi trionfi; la giovane stella degli Sharks che esplode (e vomita!) Willie Beamen (Jamie Foxx) combatte contro un passato che lo spinge alla ribellione e ad essere refrattario e repellente all’imprenscindibile e non negoziabile concetto di squadra e catapultato dall’onda dell’improvviso successo sulla soglia di un futuro sportivamente (ed economicamente) radioso ma che gli sbatte in faccia la realtà di un mondo fatto di persone sole e infelici; il coach Tony D’Amato (Al Pacino, a dirla tutta quì nell’ultimo grande e iconico ruolo della carriera) con grandi successi sportivi alle spalle ma anche tanti (troppi) errori che lo hanno condannato ad una vita di solitudine privandolo dell’amore di moglie, figli e nipoti (e portandolo finanziariamente sul lastrico), con la carriera che ha imboccato il più classico viale del tramonto, combatte col nuovo che avanza (un giovane coach dalle idee innovative e un movimento del football tutto che si affaccia al nuovo millennio) e una giovane proprietaria che, a differenza del padre/predecessore, interferisce col suo operato (“profanando” il terreno sacro del coach, lo spogliatoio) ed è ormai pronta e convinta a dargli il benservito.

Persone sole immerse nel frenetico, affascinante, lussuoso e glamour mondo del football americano, dove vizi ed eccessi vanno di pari passo con la gloria e i successi.

Trasporre lo sport nell’universo cinematografico è terreno rischioso e scivoloso, sono poche infatti le pellicole che, avendo come focus lo sport, hanno fatto centro evitando il banale e in moltissimi casi l’insulso. 

È una questione di tempi, anzi del tempo, e un maestro come Oliver Stone lo sa, accetta la sfida e dirige ogni singola scena maneggiando e padroneggiando il tempo come un grande quarterback fa con la palla ovale.

“Ogni maledetta domenica” (“Any given sunday”) fa centro soprattutto per questo motivo: l’azione sul campo da sportiva diventa cinematografica, il tempo si dilata e si comprime di continuo, è la pellicola a dettare i tempi alla partita e non viceversa, il montaggio asciuga il superfluo e la macchina da presa cambia di continuo prospettiva divenendo lo sguardo indeciso/impaurito del quarterback prima del lancio alla ricerca di un punto di riferimento, poi la palla ovale in volo, dunque gli occhi del coach ansiosi/speranzosi di guadagnare quella yard o l’agognato touchdown, poi la folla che trasuda passione e assorbe la medesima violenza che proviene dal campo, e ancora i protagonisti in tribuna (dirigenti, assistenti tecnici, cronisti) che giocano la loro di partita con le stesse esaltazioni e dannazioni dei protagonisti sul rettangolo di gioco.

Lo spettatore viene dunque risucchiato da questo frullatore di immagini, un vero mix di eccitazioni e attese che rende una partita di football godibile seduti non su un seggiolino di uno stadio ma su una poltroncina di un cinema.

Il taglio della pellicola è molto televisivo, sfiora il documentaristico, e come sunto potrebbe ben definirsi un gigantesco (per durata e potenza di immagini) videoclip musicale. E non è un caso che la musica (un grande lavoro viene fatto per rendere simbiotica la colonna sonora con la pellicola, al fine di renderla iconica e riconoscibile) faccia da collante per tutta la durata del film e giochi un ruolo di assoluta protagonista anche nelle azioni di gioco.

Alla pari delle musiche (la colonna sonora spazia tra brani originali -Jamie Foxx scrive e interpreta la bella “Any given sunday”- e pezzi che hanno fatto la storia) è il linguaggio a farla da padrona, con una ricercata forma di scrittura che rende un film così basato sull’azione e il dinamismo paradossalmente verboso fino all’eccesso.

Ma è una verbosità ispirata che si assorbe e si ascolta con estremo piacere (un plauso alla sceneggiatura di Stone affiancato da John Logan che da lì in poi costellerà la propria carriera di sceneggiatore con titoli di grande successo) con picchi toccati dai monologhi (e soprattutto dal Monologo) di un altrettanto ispirato Al Pacino che costituiscono momenti di grande cinema destinati a restare nella storia e nell’immaginario.

Un ulteriore annotazione sulla fotografia diretta da Salvatore Totino (praticamente al suo esordio che fu trampolino di lancio per un'importante carriera): con una alquanto particolare saturazione e un percettibile rumore nella resa dei colori contribuisce all’accennato taglio televisivo/documentaristico offerto allo spettatore ponendo dinanzi ai suoi occhi la sensazione di una vera frenesia delle immagini.

Non è un film perfetto, forse (e giustamente) volutamente, ed è spesso ruvido e grossolano, ma proprio per questo riesce a descrivere il mondo di questo sport, perché gli assomiglia, ne prende le sembianze. Ed è uno di quei rari casi (e ciò costituisce un ulteriore grande merito) in cui, nonostante la massiccia durata (157 min) si ha la sensazione che un'ulteriore mezzoretta non avrebbe guastato (sono diverse infatti le scene tagliate). 

Dirigendo una pellicola sportiva Oliver Stone si è assunto un rischio e si è anche dimostrato uomo, ha colto la sfida e a suo modo l’ha vinta, per altri magari ha anche potuto perderla, ma è relativamente importante perché “ogni maledetta domenica si vince o si perde, resta da vedere se si vince o si perde da uomini.”

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati