Regia di Jafar Panahi vedi scheda film
Il cerchio è uno dei più bei film visti al Festival di Venezia. Panahi ritorna allo schema narrativo del suo primo successo, “Il palloncino bianco”, colpevole di qualche leziosità e concessione alla linea “arazzista” e “miniaturista” del cinema kiarostamiano, minimalista e timorato nei confronti di una realtà socialmente culturalmente politicamente tremenda come quella del suo paese. “Il cerchio” (nel senso della giostra, della ronde) è lo schema narrativo che lega tra loro vicende e personaggi diversi, tutti femminili. È anche il cerchio di una storia dentro la quale la possibilità delle donne di raggiungere un tanto di autonomia e indipendenza sembra indefinitamente bloccata. È di donne chiuse nel cerchio che Panahi ci parla, ricordandoci come alle conquiste delle occidentali e ricche corrispondano in altre parti del mondo oppressioni terribili. Di donna in donna e di storia in storia, con una semplicità e una fluidità quasi magistrali, Panahi ci parla di un’uscita provvisoria dalla prigione, di un’uscita per ora senza sbocchi. Si parla di oppressione politica e di maschile oppressione, che lì sono lo stesso; di chador e di aborto, di abbandono dei figli per impossibilità di crescerli e di sigarette vietate alle donne. Si parla di un regime maschile dove la complicità tra i maschi è fatta di arroganza e pavidità. Chissà come reagirà l’Iran ufficiale dopo il premio. Chissà anche come reagiranno gli arazzisti e miniaturisti della tradizione, del regime.
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