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Il cerchio

Regia di Jafar Panahi vedi scheda film

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La recensione su Il cerchio

di Peppe Comune
9 stelle

Il film si apre con i dolori del parto di Solmaz Gholami. Ha appena messo al mondo una bella bambina ma l'anziana madre teme che il marito e i suoceri della figlia la ripudino per non aver partorito un maschio. Nargess (Nargess Mamizadeh) e Arezou (Maryam Parvin Almani) sono appena uscite dal carcere. La prima è una ragazza timida e impacciata, letteralmente frastornata dal caos cittadino. Sogna di ritornare al suo tranquillo paese e Arezou si prodiga in ogni modo per esaudire questo innocente desiderio. Lei non la segue, preferisce rimanere a Teheran piuttosto che farsi umiliare dai familiari che per due anni non si sono mai fatti vedere. Pari (Fereshteh Sadre Orafaiy) è scappata dal carcere, è incinta e non ha marito. L'ira dei fratelli la costringe in mezzo alla strada. Non ha un posto dove andare e tenta invano di abortire. Monir (Monir Arab) scopre appena uscita di prigione che il marito si è risposato di nuovo e che sua figlia è più affezionato alla "nuova" madre che a lei. Elham (Elham Saboktakin) è un infermiera ed è sposata con un medico pakistano. Vive col timore che il marito scopra i suoi trascorsi carcerari ed è per questo che ha troncato ogni rapporto con la sua famiglia. Nayereh (Fatemeh Naghavi) è una donna sola con figlia. Sebbene la ami molto, è convinta che la bambina starebbe meglio con una famiglia "vera" e medita di abbandonarla. Mojgan (Mojgan Faramarzi) non vuole più nascondersi. Fuma in pubblico, dice ciò che pensa e accetta il carcere con serena rassegnazione, come l'inevitabile conseguenza della sua orgogliosa e personale resistenza. Il film si chiude con una guardia del carcere che chiama Solmaz Gholami, incarcerata per non aver partorito un maschio. Il suo volto non lo vediamo mai ma la sua vicenda è necessaria per poter chiudere il cerchio. Otto donne per otto storie emblematiche di un Iran retta sulla protervia maschile, dove una donna non è niente se non è legata ad un uomo e dove ogni espressione della sua innata femminilità è continuamente mortificata dalla gestione teocratica della società.

 

 

Otto donne messe ai margini dalla vita, i cui percorsi, anche solo per un attimo, si toccano fino a concretizzare un ideale chiusura del cerchio, quella che nelle intenzioni di Jafar Panahi sta a rappresentare il fatto che le donne iraniane possono sostituirsi l'un l'altra senza che cambi di molto la qualità delle rispettive posizioni sociali e l'arbitrio maschile sulle loro esistenze precarie. Non hanno un volto da poter spendere senza paura e neanche un documento da non dover mostrare in ogni momento. Sono accomunate dall'esperienza carceraria e finiscono per ritornarci in prigione. Ha poca importanza conoscere i motivi per cui sono state incriminate. Basta fumare per strada, non portare il chador nei luoghi pubblici, essere sole in strada senza documenti, prendere un mezzo di trasporto senza essere accompagate ad un uomo o avere la tessera dello studente, essere su un auto insiema a uno sconosciuto. Può bastare anche solo aver messo al mondo una bambina, perchè in Iran essere una donna può già essere una colpa. "Il cerchio" (Leone d'oro a Venezia) è un fondamentale documento sulla condizione delle donne iraniane. Ma è soprattutto un grande film, capace di armonizzare mirabilmente l'urgenza di raccontare con uno sguardo intimamente immerso nella realtà spaccati di ordinaria prevaricazione sociale, con la ricerca di uno stile cinematografico attento alle esigenze più propriamente vicine alle questioni dell'arte. Il film ha un adeguata tensione drammatica, asciutto al limite del documentarismo nella forma ed essenziale per quanto riguarda la messa in evidenza dei suoi contenuti, raccontato mantenendo un punto di vista sufficientemente distaccato ed adottando un linguaggio semplice ed incisivo tendente, non già a ricercare l'effetto a sorpresa o una facile adesione emotiva, ma ad arrivare alla coscienza attraverso la forza evocativa di una denuncia che è nell'essenza stessa dei fatti rappresentati. Caratteristiche queste che, nel mentre fanno essere "Il cerchio" un film indissolubilmente figlio della propria terra, lo pongono anche come riferimento artististico per una riflessione più generale condotta contro ogni tipo di sopruso perpetrato sui più deboli e indifesi. "Un giorno ho notato un trafiletto sul giornale : "Una donna si è suicidata dopo aver ucciso le sue due giovani figlie". Non c'era nulla sui motivi dell'omicidio-suicidio. Forse il giornale lo riteneva inutile, perchè in molte comunità le donne vengono bistrattate. La loro libertà è tanto limitata che è come se vivessero in una grande prigione. Questo non vale solo per una particolare classe sociale, ma per tutte le donne. Come se ognuna potesse sostituire l'altra in un cerchio che le rende tutte uguali". Parole di Jafar Panahi, un grande autore dell'Iran del coraggio. 

 

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