Regia di Jafar Panahi vedi scheda film
La questione femminile in Paesi comunemente riconosciuti come non democratici è scottante. Naturale che registi provenienti da queste zone abbiano qualche conto da saldare con la cultura islamica delle loro terre (non dimentichiamo che in Iran vige la legge della Sharia) che schiavizza letteralmente la donna. Panahi, come altri cineasti (importanti o meno) dell'Iran, punta su un cinema sociale, di denuncia. Il cerchio è metaforicamente il luogo nel quale la donna è costretta a muoversi (la circonferenza, per restare nella metafora, è il maschilismo che la limita), ma è anche la continuità del racconto del regista, più o meno abile a passare da un personaggio all'altro, mostrando le brutture e le ostilità cui le donne sono sottoposte. Scrivevo "più o meno abile" perché la prima parte del film sembra passare piuttosto insapettatamente da una vicenda ad un'altra, spiazzando completamente lo spettatore. Inoltre la mdp si muove troppo nervosamente, nel tentativo di (in)seguire i personaggi per offrirli allo sguardo dello spettatore, in qualche modo. Ma non si tratta di cinema di pedinamento (almeno il regista non ha quest'intenzione, mi sembra), nonostante la mdp stringa troppo, fino a rischiare di diventare monotona, sulle persone. E' evidente che Panahi ricerchi uno stile quanto più asciutto e rigoroso: intende mostrare più che dimostrare, senza compiacimento alcuno. Il film sembra crescere sensibilmente nel finale, quando anche la regia sembra più accorta concedendo aria alle inqudrature, più spazi, più respiri, meno sussulti e più fluidità alla narrazione. Tuttavia non mi abbandona il sospetto che si tratti di un'opera troppo programmatica, confezionata appositamente per assicurarsi il consenso dell'Occidente. L'aspetto sociologico è troppo prevaricante su quello meramente cinematografico. Lo ritengo un limite. Ormai il cinema iraniano è quasi una moda e troppo spesso vengono annunciati falsi capolavori provenienti da Teheran. L'ombra di Kiarostami (indubbiamente il regista più dotato e di statura internazionale) più che giovare alla qualità dell'opera dei suoi connazionali ha favorito il mercato.
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