Regia di Woody Allen vedi scheda film
Uno dei migliori film di Woody Allen degli ultimi tempi. Sean Penn è impareggiabile e il regista riesce a scrutare a fondo i sentimenti del protagonista, facendo emergere poco alla volta la naturale conclusione del pensiero dell'artista. Emmet Ray si sente l'eterno secondo e questo, sì, è qualcosa che lo frustra, ma ciò che gli accade a livello sentimentale è devastante. E' come se si rendesse conto solo nella sconfitta che tutto ciò che aveva l'ha buttato via nel niente. Non solo, proprio dalle relazioni con gli altri capisce il perché è secondo e riesce a migliorarsi, finalmente, a esplodere dopo la sua stessa esplosione di rabbia verso tutto ciò che ha fatto. Quell'urlo "non ho bisogno di aiuto" e quel gesto della chitarra sfracellata contro l'albero sono una delle massime espressioni della miseria umana, della fine di un sogno o forse dello smacco per la sconfitta insita in un'illusione. E l'ultima scena, Ray da solo tra i cocci della sua chitarra, è una delle scene più tristi e inquietanti del cinema di Woody Allen, c'è una maturità nuova, quasi il dramma eterno di una vita. Se anche in occasioni precedenti Allen aveva toccato temi così profondi (a partire da Interiors), in questo film c'è qualcosa in più, forse la consapevolezza che una vita retta su un sogno o un illusione più o meno definiti può crollare tra l'incertezza che si cela nel proprio spirito soprattutto con l'avanzare dell'età, quando la speranza ormai si accorcia e la memoria ha un corso lungo una vita.
Così un gesto definitivo come quello di Emmet Ray è un atto liberatorio. Dopo saprà essere più passionale, dopo saprà tenere testa a Django Reinhardt e non sarà più secondo. Dopo quel gesto tutto è da ricostruire, tutto può essere la scusa giusta per sparire e ricominciare.
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