Regia di Woody Allen vedi scheda film
Una biografia immaginaria. Woody Allen ci spiazza un’altra volta, zelighianamente. E bisogna ammettere che alla Mostra di Venezia del ’99 dove il film fu presentato, non furono in pochi a cadere nel tranello... Infatti: chi è(ra) Emmet Ray? Un chitarrista jazz di scarsa fama che salì brevemente alla ribalta alla fine degli anni ’30. Ray (un magnifico Sean Penn, forse l’unico attore americano, oggi, a calarsi con fantasioso realismo in ogni ruolo) era considerato il numero due dopo “quello zingaro che sta a Parigi”, vale a dire Django Reinhardt; e gli appassionati di jazz... dovrebbero conoscerlo. Il comico, autore e attore Woody Allen – che si diverte a intervallare la sua 29esima opera intervenendo di persona, a tutto schermo e guardando in macchina in stile “Annie Hall”, con piccoli e gustosi aneddoti sul protagonista - è, come sappiamo, anche un musicista (dilettante, dice lui, malgrado centinaia di serate e varie tournée), nonché sopraffino cultore ed esperto di jazz. Il suo è un omaggio affettuoso, tenero, qua e là pungente, agli artisti dimenticati. “Dolce” come la struggente “Sweet Sue, Just You”; e “ignobile”, cinico («È il mio giorno libero: ne voglio una che parla!» urla Ray all’amico dopo avere constatato che la donna adescata per la serata è muta: una Samantha Morton di porcellana che “possiede alcune caratteristiche distintive di Harpo Marx”, come ha confessato Allen). Ray, dunque, “era” un chitarrista virtuoso, ma anche un ubriacone inaffidabile, consapevole del proprio destino («Prima o poi tutti i sogni vanno in fumo»). Attraversata e accompagnata dai soliti lussuosi camei (Uma Thurman, Anthony LaPaglia, Gretchen Mol, il regista John Waters), la ritrovata verve di Woody si consuma tra gli antichi ricordi di “Broadway Danny Rose” e quelli più recenti di “Pallottole su Broadway”, ma con venature autunnali ancor più marcate. Come se Allen stesso sapesse quanto ci sia di lui in Emmet Ray.
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