Regia di Woody Allen vedi scheda film
28° film di Allen. Mockumentary ambientato negli anni ’30, come già Zelig, ed espressione del profondo amore del regista per la musica jazz. Emmet Ray, chitarrista cinico e sgradevole, mal sopporta il ruolo di eterno secondo dopo Django Reinhardt (che, lungamente evocato, gli si materializza davanti nel momento meno opportuno e provoca un suo svenimento); tratta le donne come oggetti di piacere, ma troverà la sua nemesi. Vicenda agrodolce, che sfocia in una conclusione apertamente malinconica: alla fine della sua carriera Ray riuscirà a diventare migliore di Reinhardt, perché solo allora la sua arte sarà stata affinata dalla sofferenza (cioè dal sapere di aver incontrato l’amore della vita e averlo buttato via). Grande Samantha Morton, espressiva figurina da film muto. Una precisazione sull’ultima parola del titolo originale: credo che “lowdown” non significhi “basso, ignobile” (che invece traduce “low-down”, con il trattino) ma “confidenziale”, come vedo suggerito nel Castoro Allen.
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