Regia di John Swanbeck vedi scheda film
Tre uomini e una stanza d’albergo di Wichita, per un’importante convention dove dovrebbe sopraggiungere “il grande Kahuna”, il pollo da spennare e con cui chiudere in bellezza la carriera. I tre sono commessi viaggiatori, “americani” della middle class bianca tormentati dalle frustrazioni. Sono rappresentanti di lubrificanti, ma in realtà raffigurano tre tipologie: il cinico, che venderebbe la madre pur di approdare al “colpo grosso”; il “vecchio”, che ha visto e sentito già tutto, divorziato e in crisi depressiva; e il giovane, aggrappato alla fede religiosa per non sprofondare prima del tempo. Un buon copione, valido probabilmente sulla scena teatrale (da dove, infatti, proviene), ma che sul grande schermo si disperde, importuna, infastidisce per déjà vu e retorica. Si capisce che Kevin Spacey si sia innamorato della pièce, al punto di decidere di produrre la sua trasposizione cinematografica cucendosela addosso in maniera fin troppo narcisistica (vedere, per credere, l’entrata in scena del nostro). Ma se un Oscar deve voler dire avere mano libera su tutto, allora meglio non vincerli mai, come Welles, Chaplin o Kubrick. Bravura attoriale nella norma manierista.
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