Regia di Kirsten Dunst vedi scheda film
"Quanto questa povertà / Più m’innamora."
Una giovane coppia in crisi - lei (Juno Temple) dietro, incinta e quindi affaticata, lui (Brian Geraghty) davanti, maldisposto e quindi cornuto - percorre a piedi sotto al solleone una strada sterrata che attraversa/costeggia un deserto ciottoloso/stepposo mentre tre uomini (Lucas Haas, Lee Thompson Young, Joe David Moore) a bordo di un’automobile sono sulle loro tracce percorrendo il nastro d’asfalto finitimo perché vogliono assolutamente incontrarli.
Giunte le tenebre i due arrivano ad un motel, ma i pochi soldi di cui dispongono non bastano per pagarsi una stanza per la notte, e allora il gestore (L.M. Kit Carson) offre loro riparo, comunque al costo del prezzo che possono permetersi di saldare, in una rimessa degli attrezzi dotata di una branda, e nel frattempo fanno la comparsa anche i tre inseguitori che, smontati dal veicolo parcheggiato di fronte al temporaneo alloggio di fortuna, estraggono dal bagagliaio ognuno un borsone.
Se vi sembra di aver già sentito nell’aria una storia simile, beh, avete ragione.
Selezionato per la Semaine de la Critique a Cannes, «Bastard» (2010), il secondo cortometraggio - dopo il valido «Welcome» (2007) - diretto da Kirsten Dunst - aspettando (♥¿♦?♥) «la Campana di Vetro» da Sylvia Plath con Dakota Fanning - e da lei prodotto e scritto con Sasha Sagan (buono il comparto tecnico-artistico: bella la fotografia di Darren Lew, consono il montaggio di Bart Brevé e rimarcabili le musiche di Michael Einziger, mentre i costumi sono delle Kate & Laura Mulleavy di «WoodShock») è un consapevole "scherzo" (più "sentito", forse, che "necessario") di 5’30’’ e ha dalla sua il fatto di non possedere né esprimere alcun affossante («Mother!») sottotesto ulteriore che non sia l’esplicita metafora ("variazione" sul tema) messa in scena.
Quanto questa povertà / Più m’innamora.
[Ma credo si possa immaginare (aka: parlare a vanvera) che sia costato quanto mediamente un esordio nel lungometraggio italiano.]
* * * ¼
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