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La lingua del Santo

Regia di Carlo Mazzacurati vedi scheda film

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La recensione su La lingua del Santo

di GIANNISV66
9 stelle

Si può essere vincitori anche se, apparentemente, si è degli sconfitti. Si può essere vincitori per aver scelto alla fine di arrendersi alla giustizia dell'uomo, se questa resa è nella sua sostanza un rifiuto della fuga e la ricerca di una via per affrontare una realtà fino a quel momento subita, una maniera per riprendere in mano la propria strada e, soprattutto, oltrepassare quello stato di sconfitti dalla vita per il quale sembrerebbe non esserci via d'uscita.

La Lingua del Santo di Carlo Mazzacurati è, nella sua essenza, proprio questo: un film sugli sconfitti, sui rifiutati che alla fine si prendono lal loro rivincita ma lo fanno nel modo meno evidente e tuttavia, e forse anche per questo, nella maniera maggiormente incisiva. Willy, detto Alain Delon per la sua avvenenza, e Antonio sono due disperati con una aggravante: lo sono in contesto sociale assai florido, in una città, Padova, che, come dice il primo dei due protagonisti, "fattura quanto il Portogallo, ma se non hai i soldi è senza pietà!"

Antonio è un figlio di emigrati, rimasto senza genitori si è ritrovato privo di affetti e di punti di riferimento, un disgraziato che si adatta a far di tutto senza però trovare un lavoro fisso e che riesce a stemperare in parte la sua amarezza nella passione per il rugby. Willy invece era uno come gli altri, con un lavoro di rappresentante, finché un bel giorno la moglie lo ha piantato per un professionista della medicina e lui non è sprofondato in una spirale auodistruttiva che lo ha portato ad essere un relitto.

Si mettono in società, in una attività illegale di furtarelli, piccole razzie fatte in negozi perché le "rapine serie" sono loro precluse: anche come criminali sono dei reietti, dei falliti. Una notte si ritrovano quasi per caso nella cattedrale e altrettanto casualmente si imbattono nella teca dove è custodita la lingua del Santo Patrono.

Antonio capisce che può essere l'occasione per dare una svolta alla propria esistenza e si impossessa della preziosa reliquia, tra le forti perplessità di Willy che solo in un secondo momento decide di assecondare il piano dell'amico.  

 

In bilico fra la farsa ed il dramma, La Lingua del Santo alterna scene sul limite del comico, giocando sulla improbabilità dei due protagonisti, a momenti di profonda tristezza. Se Willy non ha mai superato l'abbandono da parte di Patrizia, la moglie della quale è ancora profondamente innamorato, e affronta il quotidiano solo come una lotta per sbarcare il lunario non vedendo per sè alcun futuro senza la persona che gli ha catturato il cuore, Antonio è invece uno che a forza di raccogliere rifiuti ha sviluppato una corazza di cinismo e di durezza posta a difesa (come si capisce poi nella scena di un sogno in cui gli appare addirittura il Santo, divertente e in apparenza persino un pò sopra le righe) di un animo ingenuo.

Il fatto è che in contesto sociale in cui i vincitori sono i furbi, gli arrampicatori e i calpestatori della dignità altrui (ben rappresentati dallo squallido luminare medico che è il nuovo compagno di Patrizia) Willy e Antonio rappresentano la parte "buona", rubano per sopravvivere, ladri per caso in una società che premia invece i ladri in grande stile.

Mazzacurati regala allo spettatore un film di grande intensità, dove si ride anche ma, soprattutto, si è catturati da quel senso di malinconia e solitudine che attraversa tutta la vicenda, sentimenti che attanagliano i due ladri maldestri verso cui non si può non focalizzare la nostra simpatia.

Fabrizio Bentovoglio e Antonio Albanese  nei panni dei due protagonisti sono assolutamente in parte, entrambi autori di una prova di eccellenza, mentre appare più defilata Isabella Ferrari nel ruolo della moglie, lasciato un pò in secondo piano  (una delle poche pecche del film). Tra gli altri ricordiamo Ivo Marescotti che ben ricopre i viscidi panni del rampante medico, un ruolo secondario ma importante nell'economia della storia raccontata.

Pellicola valorizzata ulteriormente da un finale intenso e commovente, che è un incitamento ad accettarsi per quello che si è e, soprattutto, a non arrendersi mai.

La trama

È bello vivere e posare lo sguardo su due occhi di donna

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