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Piccolo corpo

Regia di Laura Samani vedi scheda film

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La recensione su Piccolo corpo

di Peppe Comune
8 stelle

Agata (Celeste Cescutti) è una giovane donna che vive in un piccolo paese del nord est italiano. Un giorno mette al mondo una bambina senza vita, siamo nei primi anni del 900 e secondo le credenze cattoliche dell’epoca, il neonato senza vita doveva essere sepolto senza ricevere, né il battesimo né tantomeno un nome. Ma si racconta che molto più a nord del paese, oltre le montagne innevate, esiste un santuario dove chi vi si reca può donare al piccolo corpo inerme quanto basta di vita per fargli ricevere i sacramenti e a toglierlo dal limbo in cui è destinata a vagare in eterno la sua anima. E così Agata si mette in viaggio verso la speranza di un miracolo, contro il volere di tutti, tenendo il piccolo corpo della sua bambina ben nascosto in una piccola cassa di legno. Lungo la strada incontra Lince (Ondina Quadri) una ragazza vestita da selvaggio che si offre di accompagnarla lungo un viaggio che non si prospetta facile. 

 

Celeste Cescutti, Ondina Quadri

Piccolo corpo (2021): Celeste Cescutti, Ondina Quadri

 

La storia universale del mondo si compone della somma di tante vicende umane che nel loro svolgersi secondo le naturali caratteristiche del momento fanno un bagaglio esperienziale a cui si può sempre attingere alla bisogna. E ognuna di queste "piccole" storie deriva la sua consistenza più o meno grande dal modo in cui viene portata alla luce e dal tempo che gli si vuole dedicare per farne emergere i necessari ingredienti narrativi : gli odori, i sapori, le sensazioni, la luce. Il cinema si è spesso preso cura di far emergere dal nulla storie dimenticate, facendo della narrazione per immagine un indispensabile veicolo di conoscenza. 

Un esempio molto significativo in questi ultimi anni ci viene offerto da Laura Samani con “Piccolo corpo”, un film dal sapore antico che narra di un viaggio sorretto dalla speranza che i miracoli si possono realizzare, un viaggio verso un luogo reale ma alimentato da una fede che riposa solo nei cuori di chi ci crede veramente. Il Santuario in cui si regalerebbero attimi di respiro ai bambini mai nati è molto lontano dal paese di Agata, ma la donna non si perde d’animo e decide di partire per avventurarsi in un cammino verso l’ignoto perché ignoto gli appare tutto ciò che si trova oltre i suoi confini conosciuti. Proprio per questa sua ostinata decisione, Laura Samani fa di Agata una donna mossa, non tanto dal richiamo ancestrale di antiche credenze, ma dalla volontà di dare una morte dignitosa a chi sì è visto negare la dignità dal senso comune dominante. Agata si aggrappa con speranza a quella che con ogni probabilità è solo una leggenda tramandata di anno in anno, e lo fa con un atteggiamento che è tanto quello della madre che non trova pace nell'aver dovuto piangere la morte prematura di una figlia, quanto quello della donna che non trova nessuna consolazione nel fatto di poter mettere a mondo altri bambini.  

Accetta il dolore per quello che è Agata, partendo da quello che scaturisce dal suo corpo di donna. Si fa esperienza di un insegnamento che agisce a bassa intensità, capace di insinuarsi poco alla volta, in ragione di una forza morale che scaturisce dal suo essere donna. Lo capisce Lince, con la stessa istintività con cui sembra voler trascorrere ogni istante della sua vagabonda esistenza, in bilico tra un corpo di donna che deve “starsene al suo posto” e i comportamenti da uomo che la vestono di una sicurezza che non possiede. Guida Agata durante il viaggio, garantendole protezione e compagnia. Ma ne riceve in cambio un dono più grande e inaspettato : la scoperta che amare anche ciò che non si conosce non significa essere deboli. 

“Non si dà un nome alle cose morte”, gli dice molto emblematicamente Lince, che con queste parole certifica la potenza incontrastata del pensiero corrente che non riconosce a una bambina nata senza vita il diritto di esistere. L’esatto contrario di quanto pensa Agata, che intraprende un viaggio colmo di insidie per strappare il piccolo corpo della figlia dall'oblio eterno, dimostrando che ci vuole più coraggio ad alimentare i propri desideri di speranza che ad anestetizzarli nell'accettazione acritica dell'esistente. 

La storia del mondo racconta che esiste un luogo sacro dove possono avvenire i miracoli, una narrazione che si tramanda di generazione in generazione, e come un’eco penetra lo spazio e il tempo per giungere al punto nevralgico della questione. Agata si mette all’ascolto come chi non trova cosa migliore da fare che sintonizzare l’intelligenza oltre il limite del vedibile e dentro gli spiriti dell’immaginabile. Perché può bastare un respiro per vincere l'oscurità della dimenticanza, possono bastare pochi attimi di vita per strappare un piccolo corpo dalle voragini del limbo. Ovvero, da quella terra di mezzo che nulla toglie e nulla aggiunge all'indifferenziata vacuità della vita, uno spazio che semplicemente dichiara l’assoluta inconsistenza di una nascita. 

Laura Samani è brava a gestire le implicazioni simboliche che scaturiscono da qualsiasi contesto culturale retto su credenze e superstizioni lungamente sedimentate. Le rappresenta senza farne un “gratuito” orpello iconografico, le racconta facendone scorgere i soli accenni etnografici. L'aderenza all'idioma dei luoghi (friulano e veneto) e totale, così come al realismo della narrazione, che oscilla tra il documentarismo a sfondo storico e il racconto di finzione dalla veste antropologica. Bella la fotografia dal respiro “naturalistico” (di Mitja Licen). Buon film, dalla bellezza discreta. 

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