Trama
In una piccola isola del nord est italiano, in un inverno agli inizi del Novecento, la giovane Agata perde sua figlia alla nascita. La tradizione cattolica dice che, in assenza di respiro, la bambina non può essere battezzata. La sua anima è condannata al Limbo, senza nome e senza pace. Ma una voce arriva alle orecchie di Agata: sulle montagne del nord pare ci sia un luogo dove i bambini vengono riportati in vita il tempo di un respiro, quello necessario a battezzarli. Agata lascia segretamente l'isola e intraprende un viaggio pericoloso attaccata a questa speranza, con il piccolo corpo della figlia nascosto in una scatola, ma non conosce la strada e non ha mai visto la neve in vita sua. Incontra Lince, un ragazzo selvatico e solitario, che conosce il territorio e le offre il suo aiuto in cambio del misterioso contenuto della scatola. Nonostante la diffidenza reciproca, inizia un'avventura in cui il coraggio e l'amicizia permetteranno a entrambi di avvicinarsi a un miracolo che sembra impossibile.
Curiosità
LA PAROLA ALLA REGISTA
"Nel 2016 ho scoperto che a Trava, nel mio Friuli Venezia Giulia, esisteva un santuario dove fino al XIX secolo si diceva avvenissero particolari miracoli, che i bambini nati morti potessero essere riportati in vita per il tempo di un solo respiro. Un miracolo come questo era necessario per battezzare i bambini, che altrimenti sarebbero stati condannati a essere sepolti in un terreno non consacrato, come gatti morti. Senza il battesimo, non avrebbero mai avuto un nome o un'identità e le loro anime avrebbero vagato eternamente nel Limbo. Questi tipi di posti sono chiamati à répit, o santuari del respiro, ed erano presenti in tutte le Alpi (nella sola Francia se ne contavano quasi duecento). Sorprende come la loro storia sia del tutto sconosciuta nonostante le dimensioni del fenomeno.
I santuari sono rimasti da qualche parte nella mia mente e hanno finito per catturare la mia attenzione. Sono stata colpita da una cosa in particolare: erano soprattutto gli uomini a recarsi in viaggio nei santuari con i piccoli corpi dei loro neonati. Ovviamente, le donne che li avevano dati alla luce erano confinate nei loro letti soggette a una vana attesa.
La prima domanda che ho posto ai cosceneggiatori Elisa Dondi e Marco Borromei, che hanno deciso di condividere il mio viaggio cominciato con il cortometraggio La santa che dorme, è stata: cosa succede alla donna che è a letto? E se invece fosse lei a mettersi in viaggio? Così abbiamo cominciato a scrivere con due sole certezze: la donna in questione è Agata ed è alla sua prima gravidanza.
Quando la sua piccola nasce morta, Agata sprofonda nel dolore e non ce la fa ad andare semplicemente avanti, come sembrano fare tutti coloro che le stanno intorno. Per me, la parte migliore di una storia è data da quel momento in cui un personaggio decide di ribellarsi. La scelta di Agata è praticamente scandalosa perché denota orgoglio e protesta non solo contro la sua religione ma anche contro le leggi della natura. Arriva un momento preciso, di solito di notte, in cui le possibilità davanti a noi sembrano improvvisamente consistere in una sola scelta ed è allora che il destino si compie: Agata decide di ascoltare le voci che parlano dei miracoli. Seguendo il suo istinto e senza dirlo a nessuno, si mette in viaggio con la sua bambina in una piccola scatola. Da sola.
Ovviamente, la pratica di rianimare i bambini non era vista con benevolenza dalla Chiesa perché considerata un abuso dei sacramenti e simile alla stregoneria. Agata si impegna in un viaggio ai confini dell'ignoto, abbandonando le sue radici e rischiando di perdersi così come di morire. Il suo costante desiderio è quello di dare un nome a sua figlia al fine di lasciarla andare e separarsi da lei, divenendo a quel punto due individui distinti. La verità però è che il viaggio è un modo per prolungare lo stato di simbiosi con la figlia con cui ha vissuto per mesi, una sorta di continuazione della sua gravidanza: la bambina dalla pancia viene trasferita alla schiena, divenendo un peso che porta sulle sue spalle. Il suo viaggio è sì fisico ma diventa anche trascendentale. Agata non si rende conto che per continuare la sua missione deve trasformarsi lei stessa e diventare una morta in mezzo ai vivi.
Agata aveva bisogno di compagnia per il suo viaggio ed è così che è nato il personaggio di Lynx: selvaggio e astuto, chiuso e isolato perché amare significa essere compromessi, indeboliti. Lynx mostra ad Agata la strada, offrendole protezione, ma quello che riceverà da lei è qualcosa di necessario per la sopravvivenza: il profondo senso di attaccamento a qualcosa di amato, l'impegno, il sacrificio e il senso di appartenenza a qualcosa che non puoi controllare e che ti rende vulnerabile. Grazie ad Agata, Lynx si ricongiunge con quella parte di archetipo femminile che ha il coraggio di accettare il lato oscuro dell'amore: il dolore.
Ho ambientato il film nella mia terra natale ma non significa che questa storia sia esclusiva solo di quel luogo. Credo che le storie siano le stesse ovunque. Ho girato in maniera cronologica intraprendendo lo stesso tipo di viaggio che porta Agata da Caorle e dalla laguna di Bibione alla Carnia e alle montagne del Tarvisiano. Questo film è cresciuto con noi come noi siamo cresciuti con lui.
Durante la ricerca dei luoghi in cui girare, ho incontrato persone che sono diventate personaggi nel film, o forse è il contrario, dal momento che nessuno dei due può essere considerato senza l'altro. Quasi l'intero cast è composto da persone che non hanno recitato prima (in alcuni casi, intere famiglie). È anche questo il motivo per cui ho deciso di girare il film nel dialetto veneto e friulano: non solo rendendo più autentica la lingua parlata al tempo della storia ma anche dando alle persone la possibilità di esprimersi nel modo più naturale possibile. Il processo di imposizione della lingua italiana cominciò nella seconda metà dell'Ottocento e proseguì sotto il fascismo, rivelandosi un'operazione politica che, tesa al controllo del territorio, finì per causare un enorme impoverimento culturale. Fortunatamente, non riuscì a cancellare del tutto l'ampia varietà di idiomi. Penso che il dialetto sia un arricchimento prezioso e spesso commovente: basti pensare che la parola per bambino in friulano è frut, perché un figlio è il frutto dei suoi genitori.
Per varie ragioni (e spesso estranee alla storia stessa), tutte le persone coinvolte hanno trovato qualcosa di loro nella storia e nei suoi temi. Questa è la ragione per cui spesso hanno finito per parlare più della loro vita che del cinema e per imparare gli uni dagli altri: alle volte ero io a dirigere loro mentre altre volte accadeva il contrario ed erano loro a guidarmi. La trasversalità è la migliore forma di creazione.
nel film, Dio non si trova nei miracoli, nella preghiera o nel dogma che divide l'aldilà in paradiso, inferno o limbo. Dio esiste a un livello diverso: in Lynx, che crede in niente e che non è toccato dall'iniziale premessa del miracolo; in Agata, che imbriglia la rabbia per ridisegnare i confini di ciò che è possibile; e nel rapporto tra le loro due visioni solitarie che, per un attimo, sono meno dolorose. C'è una linea sottile che divide la vita dalla morte, la realtà dalla magia, le possibilità in cui abbiamo sperato e il tempo che ci resta.
Spero che questo film crei uno spazio condiviso più grande senza la presunzione di trovare risposte assolute per vivere insieme nel dubbio".
Trailer
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Commenti (12) vedi tutti
Film completamente in Lingua Friulana (meglio specificarlo ...),risulta apprezzabile per l'Idea e lo sforzo Attoriale e i Paesaggi di Montagna e per il resto risulta un pò monotono e per chi non del Friuli,meglio leggere attentamente i perfetti Subs.voto.6-.
commento di chribio1Film abbastanza intrigante se non ci si ferma ad un primo impatto abbastanza ostico, e che poco alla volta dipana una storia suggestiva che oscilla tra fantasy e gotico di inizio '900
leggi la recensione completa di galavernaInteressante ma molto noioso e cupo. La lentezza rende l'idea di come doveva essere la vita a quei tempi, ma è poco sopportabile in un film. Mi è piaciuta la ricostruzione storica e l'ambientazione, dalle mie parti.
commento di corradopBel film poetico in dialetto veneto di Laura Samani, film da vedere ed odorare, soddisfa tutti i sensi…… non per tutti.
leggi la recensione completa di claudio1959Per capire la maternità. Si parte da qui.
leggi la recensione completa di OsmantusEsornativo e attento all'inquadratura - quando l'opera richiederebbe sbavature e contrasti -, il film narra un percorso di elaborazione del lutto senza trama tra paesaggi mozzafiato, seguendo la protagonista in un limbo veneto, con personaggi che parlano dialetti diversi e incomprensibili. L'unico colpo di scena è telefonato. Da evitare.
commento di maurri 63Affascinante opera audiovisiva che con pochi mezzi riesce ad esprimere grande poetica. Una voce di sottofondo di fatto illustra la sceneggiatura rendendo la pellicola fruibile anche ai non vedenti. Ottimo.
commento di bombo1Un on the road per elaborare un lutto,fatto in un cammino irto di spine,non tutto convince,comunque coraggioso...come rimane sempre generosa Ondina Quadri,davvero convincente.
commento di ezioLo stoicismo personale, gradualmente, assume una risonanza mistica, in un'opera fervente sulla forza della maternità il cui approccio pratico, certamente perfezionabile nel testo, mostra già una maturità registica apprezzabile.
commento di Stefano LUn film che focalizza la commistione di tradizione cristiano-stregoniche nel piccolo corpo morto, figlia di Agata, in un esodo verso il santuario della resurrezione in cui il piccolo corpo e Agata diventano un tutt'uno al di là di ogni confine e legge, verso l'oscura liberazione. 8/10.
commento di logosRecitato in vari dialetti e con una regia sonnacchiosa, ha un che di miracoloso il fatto che i personaggi, pur parlando vari vernacoli, si capiscano bene. Fortuna che dura solo 80 minuti.
commento di gruvierazInutile, senza senso. Nessuna qualità.
commento di iro