Regia di Mohsen Makhmalbaf vedi scheda film
Il cinema compie cento anni e il regista iraniano Mohsen Makhmalbaf vuole fare un film celebrativo per ricordare l'evento. Una folla festante arriva numerosa in un piccolo teatro di Teheran dove si terranno i provini. Ma prima che il tutto inizi, il regista avverte, che non solo si vogliono trovare gli attori per il film celebrativo, ma che provini stessi diventeranno un film. Un film entra in un altro film quindi, in un ribaltamento continuo tra la supposta verità e le finzioni dichiarate.
“Salaam cinema” di Mohsen Makhmalbaf può essere definito come film paradigmatico di quel modo di intendere il cinema, non solo come il mezzo che si esprime attraverso degli artifici esibiti, ma soprattutto come lo strumento che rende la realtà e la sua rappresentazione due entità continuamente sovrapponibili. Il cinema dentro il cinema dunque, secondo quelle modalità consolidate in Iran (si pensi a capolavori come "Close Up" di Abbas Kiarostami e a “Lo specchio” di Jafar Panahi) : portare la realtà al cinema e rendere il cinema stesso un prolungamento dichiarato della realtà rappresentata.
Ad inizio film, dopo aver spiegato che si intendono fare i provini per trovare gli attori più idonei per la realizzazione di un film celebrativo sui cento anni del cinema, e che gli stessi provini daranno forma alla realizzazione di un altro film, la voce off conclude dicendo alla folla accorsa “benvenuti nel vostro film”. Ecco, tutto è reso subito chiaro : ci troviamo come in una sorta di matrioska dove ognuno tenta di entrare nel personaggio da recitare nel momento stesso in cui, in una maniera del tutto inconsapevole, sta recitando sé stesso (in quest’ottica, “Salaam cinema” gioca di sponda con altri due film del maestro iraniano, “Il ciclista” che lo precede e “Pane e fiore” che verrà dopo). Nel film che effettivamente verrà realizzato (che è appunto “Salaam cinema”) ognuno cerca di fingere di apparire un altro, quando, invece, questo semplice espediente narrativo è servito a Makhmalbaf per rappresentare la realtà di questa finzione. Ma se quello che stiamo vedendo è il film realizzato dal maestro iraniano, possiamo effettivamente definire il confine tra la realtà e la finzione ? La verità è che il pregio originale di questo film sta proprio nello spostare questo raffinato esercizio metacinematografico sempre più avanti, fino a rendere tangibile l'unica verità ricavabile, ovvero, che al cinema quel confine non lo si potrà mai definire una volta e per sempre.
Prova ne è il modo in cui è organizzata la messinscena : una macchina da presa è sempre in campo per riprendere il provino degli aspiranti attori secondo le direttive del regista, ma sopra di essa c'è il film che stiamo vedendo, con i suoi piani di ripresa e la sua organizzazione dello spazio, che senza soluzione di continuità finisce per rendere tutti attori di sé stessi.
Passano in rassegna tante persone, uomini e donne, vecchi e bambini, c’è chi prende la cosa molto sul serio e chi solo come un pretesto per divertirsi un poco. Una varia umanità, insomma, che si fa specchio di un paese che tenta di sublimare nell'illusione cinematografica la verità di una vita grama. Poi l'attenzione si concentra su due ragazze in particolare, dando corso ad un continuo ribaltamento dei ruoli che è quanto basta per rafforzare la trama speculativa del film. Il regista le esorta a saper piangere solo quando gli viene specificatamente richiesto, ma loro ci riescono solo quando credono di non essere in parte per il provino. Poi gli si chiede di mettersi nei panni del regista e fare i provini al suo posto. Loro se lo mettono ad imitare, cercando di ricalcare fedelmente il suo punto di vista. Da questa operazione imbastita da Makhmalbaf si ottengono due risultati tra loro complementari. Da un lato, dalla prospettiva di chi guarda il film, le ragazze sono più vere quando non riescono a fingere di piangere piuttosto che quando piangono veramente non sapendo di diventare oggetto di rappresentazione filmica. Dall'altro lato, invece, dalla visuale delle due "registe improvvisate", l'innaturale propensione di fronte alla presenza di una macchina di presa a uscire fuori da un ruolo e distinguere per quelle che sono la realtà dalla finzione.
In tutto questo, Makhmalbaf mostra di muoversi con fare sornione, come un seducente cerimoniere che sà molto bene quanto il cinema sia il luogo dove convivono allegramente le amabili bugie e le illusorie verità. Ottimo film, nato da grandi idee più che da grandi mezzi.
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