Regia di Mary Harron vedi scheda film
È il 1974 quando l'astro di Salvador Dalì (interpretato mimeticamente da Ben Kingsley, soprattutto negli eccessi dell'artista) è ormai in declino. Alle porte c'è una mostra nella Grande Mela, sulla quale Gala (Sukowa) - la sua prima musa, moglie e manager - spinge moltissimo perché i soldi stanno per finire e la vita dei due, tra i toy boys di lei e i festini di lui, per di più con alloggio in un esclusivo albergo newyorchese, costa davvero tanto. Nella loro vita inzeppata di relazioni di ogni tipo, oltre a un nugolo di pseudo-artisti che vanno da Amanda Lear ad Alice Cooper, si inserisce un giovane tuttofare (Briney) - vero punto prospettico di un film disordinatissimo - che, a mano a mano che frequenta il Maestro, si accorge che il genio del pittore spagnolo è offuscato da situazioni e manovre decisamente discutibili.
Quanta materia avrebbe potuto offrire un biopic su un personaggio ipocondriaco, megalomane, eccentrico, geniale e succube di una virago come Gala come è stato Dalì. E invece il film di Mary Harron - che già aveva massacrato American psycho, tratto dal best seller di Bret Easton Ellis - ha il respiro della soap opera nella quale l'arte scompare, oscurata dalla rappresentazione reiterata e compiaciuta della vita privata del maestro del surrealismo, con una scelta narrativa discutibile, un coming of age scialbo che non dà alcun tocco di originalità a un'opera di cui avremmo volentieri fatto a meno.
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