Regia di Alex Garland vedi scheda film
Inizia come un sofisticatissimo e seducente assalto ai sensi, inebriante e penetrante (la parte nel bosco, con evidenti echi di “Stalker”, è la scena più bella del film). Set e fotografia sono estremamente immersivi, l’apertura su “Love Song” di Lesley Duncan bellissima. Poi? Una tempesta di allusioni, metafore scoperchiate, citazioni e riferimenti colti, banalità e cadute di stile, tutto mixato, per ribadire una volta di più (o, piuttosto, di troppo) quanto irrimediabilmente tossica sia la mascolinità. Jessie Buckley e Rory Kinnear sono bravissimi, la regia di Garland misurata, sapiente, a tratti quasi solenne e il finale gore straniante. Ma il problema sta nel complesso, nel senso, negli eccessi retorici che annichiliscono il film. Un fallimento con bei momenti, un fiasco con ammalianti squarci, un’occasione sprecata con ottime intuizioni. Tantissime le affinità col meraviglioso “Antichrist” di von Trier; enorme lo sconforto dinnanzi al paragone.
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