Regia di Alex Garland vedi scheda film
Si ha come la serpeggiante sensazione che, con Men, Alex Garland abbia realizzato il suo Antichrist. Come se fosse l'unico Antichrist possibile oggi.
Un film che riscopre, stavolta, nell'Uomo - e non nella Donna come nel film di Von Trier - la fonte stantìa, deleteria e precludente di una dogmaticità rapportuale e carnale, ovvero della suddivisione e catalogazione delle identità sessuali e sociali, proprio perché, Oggi, è l'Uomo che sceglierebbe e sceglie di "portare in grembo" o, meglio, di farsi portatore, attraverso una moderna "contaminazione dei generi", di quell'amore così dottrinale e unidirezionale, ovvero castrantemente cristiano, che trova il suo sfogo egoistico in quell'atto improvviso e mostruoso di fertilità maschile, che trascende in maniera così spaventosa, divina e paradossale l'atto sessuale. E sarà finalmente attraverso l'odierna essenza emancipata e cosmica della Donna [quindi l'Anticristo, per forza di cose (e finalmente!) attualizzato, non risulta più Willem Dafoe, ma Harper, che si ribella alla cristianità vecchia e limitante insita nelle coppie -anche inconsciamente- cattolicizzate, di conseguenza si ribella anche alla cristologizzazione nella e della figura maschile], quasi come fosse un indispensabile esorcismo al contrario in cui l'Uomo perderà sia la propria identità sessuale (ora maschio e femmina insieme, pene e vagina insieme) che quella sociale-familiare (padre e madre insieme). Rimanendo comunque archetipicamente e psicanaliticamente esso la parte traumatizzante della coppia, ma non per questo una parte ancor necessariamente paurosa o spaventosa: la parte maschile perde d'efficacia e di potenza, (de)cade e crolla, si inebetisce, si frantuma, si divide e inevitabilmente, come scritto in precedenza, perde la propria mascolinità identificativa. Notare come si depotenzi totalmente la suddetta figura, anche da un punto di vista di virilità, nonché, appunto, di mascolinità (gli uomini che appaiono nel corso del film sembrano intontiti, goffi e tutto sommato innocui, quasi ad essere de-fallizzati in un certo qual modo, basti pensare sia alle voci urlanti degli Uomini verso la fine del film , che mancano di virilità, e sia al Prete che vorrebbe penetrare Harper [che a dire il vero non si dimostra nemmeno così preoccupata] ma ineluttabilmente fallisce ed, anzi, è lei che in certo qual modo "penetra" il prete. La Donna, ormai, è abbastanza emancipata da decidere da sé, senza tentazioni, di prendere la mela dall'albero del peccato nell'Eden. La Donna paradossalmente può scegliere di essere un Uomo, un Men. O, meglio, di avere dentro di sé entrambe le parti, di essere entrambe le parti [non si deve sottovalutare il fatto che Harper è un nome sia maschile che femminile], così come risulta l'ambone all'interno della chiesa in cui son scolpiti in un lato un volto mostruoso-maschile e nell'altro lato una figura mostruosa-femminile, e così come, consequenzialmente, vede poi negli "uomini" che, in certo qual modo appunto ibridi, partoriscono nel finale.
Ed ecco che Harper risulta emancipata completamente, con una consapevolezza ora più che mai assoluta e totale. Può scegliere di essere sola proprio perché può essere tutto [da non scordare il fatto che è un Antichrist/anticristo ora più che mai al passo coi tempi, aggiornato, attualizzato]. Proprio perché due facce della stessa medaglia. Infatti da quell'essere Panico, da quella sorta di Padre-Natura, da quella specie di fauno (ri)nascono i Men* , i quali non servono altro che far raggiungere ad Harper (e allo spettatore) la consapevolezza definitiva della propria emancipazione, nonché la consapevolezza sull'inefficacia e disfunzionalità di un predefinito ed incontaminato genere sessuale, intesa anche come Immagine sociale [l'Immagine di lui precipita definitamente davanti agli occhi di lei, quasi come lei fosse davanti ad uno Schermo assistendo al crollo e allo schianto definitivo dell'Immagine-uomo, intesa anche come istituzione maschile e patriarcale], quindi anche la consapevolezza sulla futilità di un interfacciarsi relazionale, di una morbosità rapportuale e, soprattutto, di un'ossessività genitoriale, ancor più sotto castranti e ammuffite dottrine cristiane. Lei sceglie, piuttosto, di abbracciare la Natura e il Cosmo; sceglie di sentirsi completa così.
Tali sopracitate consapevolezze fan sì che nel finale Harper, quando James rinasce e scioccamente e puerilmente dice a lei che lui vuole solo Amore, lei risponde con una sorta di "sì", ma è un sì pressoché passivo e diffidente, e in tutto ciò accarezza appunto l'ascia, come a voler fare intendere che non necessita più di quella figura, come a volersene in realtà sbarazzare. Sbarazzarsi quindi di quella castrante, banale ed unidirezionale cristianità relazionale, nonché di quel precludente "messaggio d'amore", che è quello che può essere visto come il parto definitivo, quindi quello che aveva in grembo tossicamente l'Uomo , ed ecco che ora più che mai la Donna risulta essere l'anticristo [con paradossale accezione positiva in questo caso] e tale definizione acquisisce, appunto, senso. Tant'è che poi uscendo, è inevitabilmente sola, e pochi istanti dopo giunge da lei, nella villa in cui Harper risiede, l'amica che è inaspettatamente incinta, ma è rigorosamente sola, come a lasciar intendere che al giorno d'oggi ogni essere è completo anche solo. E può scegliere. Ogni essere è, prima di tutto, sia Uomo che Donna. Così come quel mostro/fauno sembrava lasciar intendere. E può fare tutto, generare tutto. Così come suggerisce lo squarcio che appare nel cielo stellato verso il finale. Quella frattura, quella vagina che è l'universo, senza un'identità ben definita e stereotipata, che tutto può generare, perché si è prima di tutto parti di unico grande abbraccio cosmico. Come i denti di leone tornano durante i titoli di coda, da separati, a riunirsi per creare una figura unica. Un fiore che non ha sesso. O ad unirsi nuovamente come tutti quei Men partoriti da quell'essere primordiale, verso un'unica forma. Un disegno iniziale. Un cerchio ancestrale che vada al di là del bene e del male.
*I men che (ri)nascono attraverso quei parti multipli, comunque, non sono altro che (ma non solo...), da un punto di vista psicanalitico, le parti maschili che han generato il trauma in lei o, meglio, parte maschile suddivisa nei traumi che han fatto sì che in lei avvenisse quella rottura. Il prete, il padrone di casa, il bambino (qua si ha come la sensazione che subentri il discorso de sulla inconscia maternità che strozzava Harper dall'interno, ovvero sulla potenziale genitorialità che probabilmente James voleva appunto imporre ad Harper, etc). Tutte figure maschili ma comunque, oramai, al giorno d'oggi, depotenziate, inebetite, innocue, goffe, etc. Ovviamente e banalmente, maschiliste e prevaricanti. Tutto necessario per far sì che lei raggiungesse la consapevolezza, nonché una emancipazione definitiva e totalizzante, abbondantemente affrontata questo scritto. Un percorso per diventare quello che si è. Al di là del bene e del male. Al di là di generi. Un percorso per ricongiungersi con se stessi. E divenire, ora più che mai, l'Uno.
Ecco che Men, a conti fatti, risulta - per chi scrive - uno dei film più interessanti, nonché concettualmente consapevoli e attualisticamente disarmanti visti negli ultimi anni. Men è un film incredibile.
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[8,5/10]
Mi scuso in anticipo con chi deciderà di immergersi in questa analisi, poiché è scritta abbastanza di getto o, comunque, senza aver riletto - per ora - una seconda volta la suddetta recensione.
W Garland!
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