Regia di Alex Garland vedi scheda film
Wo---.
Gli uomini (i maschi) sono tutti uguali!
(I’m Thinking of Ending Him / AnomalHarper).
E l’ultimo sarà un parto podalico/apotropaico: Sheela-na-Gig.
(“Careful with that axe, Harper! You May Destroy Them!”)
In attesa di “Civil War” con Kirsten Dunst, Alex Garland scrive e dirige questo "Men", un “piccolo” film charliekaufmaniano, in parte, e giust’appunto, non completamente aderente alla poetica dell’autore di “Ex Machina”, “Annihilation” e “DEVS”, ma per altri versi ad essa allineato [a partire da una squadra rodata di sodali collaboratori eccellenti: fotografia di Rob Hardy, montaggio di Jake Roberts, musiche di Geoff Barrow (già Portishead) e Ben Salisbury e tappeto di foglie sonoro che principia dalla “Love Song” di Lesley Duncan (1943-2010), nella versione originale della sua autrtice presente (oltre che, ad esempio, in "Plein Sud" di Sébastien Lifshitz con Léa Seydoux) in “Sing Children Sing”, album del 1971 in cui Elton John (1947) suona al pianoforte, all’interpretazione che prima di lei ne fece lo stesso Elton John inserendola in “Tumbleweed Connection” del 1970, passando per il Gloria dell’opera vocale Missa Syllabica per coro e organo del 1977 di Arvo Pärt (1935) diretta da Tõnu Kaljuste, per finire sotto a quella Via Lattea così minacciosamente meravigliosa: Gloria in excelsis Deo, e ad… Eva (il didascalico pleonasmo sul morso al frutto proibito e "rubato" del Malus domestica coltivato e raccolto, e poi, per altri versi, più ermetici ed ancillari, l'insistenza sulla bio-geometria dei pappi - i semi quali segni della gravidanza in corso - del capolino del Taraxacum officinale selvatico, che ritorna nell'artwork dei titoli di coda, ed altri dispositivi e metafore di consimile, dicotomica natura) nella Foresta di Dean]: una sorta di crocevia fra “I'm Thinking of Ending Things” – e non certo per la compresenza di Jesse Buckley ("Fargo - 4"), magnifica tanto là, al fianco di Jesse Plemons in Dunst, quanto qui, circondata da 8 esemplari di essere umano dotato di cromosomi XY tutt’interpretati da Rory Kinnear [mentre il cast è completato da Paapa Essiedu e Gayle Rankin (a lei è legato il non plot “twist” finale), con i camei di Sarah Tworney e (il suo solo vocale) Sonoya Mizuno] –, “AnomaLisa” – e non certo per la messa in scena di una Sindrome di Fregoli (con la multimpersonificazione cha passa da Tom Noonan a, per l’appunto, il suddetto, bravissimo, e senza strafare, Rory Kinnear) “asintomatica”, che questa volta non colpisce la protagonista, ma... gli spettatori: Harper non reagisce alla fisiognomica sballata e collassata da un sisma anatomico-somatico che caratterizza il genere maschile di Homo s. sapiens abitante il piccolo villaggio di Cotson, nel Gloucestershire, in cui si ritrova per rilassarsi dopo la morte per suicidio/incidente “colposo” del suo ex compagno, con lei violento fisicamente (le sferra un gancio in pieno volto: una delle sequenze di violenza domestica più impressionanti - nella sua “semplicità” esecutiva: dal PdV cinematografico e da quello “reale” - mai viste) e psicologicamente (ricattatore morale: “Se mi lasci mi ammazzo!” e bla-bla-bla) – e persino, da un certo PdV di percorso "formativo", “the Green Knight” di David Lowery, che s’inserisce (d'altronde, fatte le debite proporzioni e contestualizzando il tutto, anche "FMJ" è arrivato, assieme a "Platoon", dopo "Apocalypse Now", così, per dire) a valle dei numerosi rivoli (“Lucky”, “Promising Young Woman”, “Violation”, “Zebra Girl”) che alimentano lo zeitgeistiano bacino idrografico del recente cambio di paradigma indie-mainstream nei rapporti tra i “due” sessi: molto più (ir)risolto di un film (im)perfetto e fondamentalmente innocuo qual è “the Invisible Man”, si avvicina, col grand guignol cronenberghiano (“Crimes of the… Always”, così ben filologicamnete raccolti e catalogati da Frederick Wiseman in “Domestic Violence”) della lunga teoria di proterandrici parti (patrilinearità aprocta, mitosi distocica, “Do you know what I mean / Have your eyes really seen”) umanocentipedi, all’elaborazione pentapartita (Kübler-Ross) del torto patito [negazione/rifiuto e isolamento, rabbia, contrattazione/patteggiamento, depressione, accettazione: con l’aggiunta, ovviamente, della catartica, “risolutiva” (l’onceuponatimeinamerico sorriso finale con sbaffo di sangue placental-?-mente proprio) vendetta] presente in “I May Destroy You” di Michaela Coel (da uno strap-on “consensuale” a un’ascia di Cechov).
Iconografia.
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Barrow & Salisbury + Arvo Pärt
"Love Song" - Lesley Duncan & Elton John (live)
The Star(s) Is Screaming (Cotson Point).
* * * ¾ - 7½
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