Regia di Alex Garland vedi scheda film
Occasione ben sprecata. Azzardo una ambivalente valutazione positiva in vista (e udito) di ciò che si poteva fare. Jessie Buckley è un’attrice morfologicamente anonima che sa rendere però molto bene ogni cosa. Per un “one-woman-movie” come questo è adattissima, ma la scelleratezza degli autori ne vanifica meriti e talenti.
Fosse stato un thriller psicologico, mi garbava. Fosse stata una sessione di psicanalisi composita, anche. Che invece una elementare analisi di sensi di colpa si tramuti/distorca in un simil—horror casinista, in una carrellata di “Men” autogenerativi (dio, che brutti!!! quei dieci minuti di sequenza del sottofinale in cui chiunque partorisce ogni cosa, fin tra le scapole o per via orale...) per via di una colpa che si nasconde tra il bucolico e il sacro (sacramentale?), questo mi garba meno.
Salviamo tutto (compresa la mia valutazione ambigua, per cui attribuisco coscienziosamente un sette ad un film che mi è piacito quattro). Salviamo almeno i primi trenta/quaranta minuti introduttivi (oddio... che introduzione lunga...), accattivanti, seri, ben raccontati con un buon senso del drammatico e dell’umoristico freddo (Geoffry è un battutaro irresistibile, quasi quanto un Enrico Mentana), salviamo una fotografia precisa, soprattutto salviamo Arvo Part che contribuisce a ciò che si ascolta in questo film più di quanto ciò che si veda, e per il resto salviamo solo il grosso punto interrogativo che resta anche dopo il finale.
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