Regia di Sofia Coppola vedi scheda film
L’adolescenza ritratta da Sofia Coppola è misteriosa e terribile, illuminata da una luce dorata che troppo facilmente degenera in una tinta fluorescente e molto kitsch. Il fuoco della passione è una fiamma precipitosa ed immatura, che brucia la pelle prima di scaldarla con il calore dell’amore. Il gioco dei colori e delle luminescenze attraversa il diaframma che separa un paradiso impossibile da un inferno reale, in cui la festa finisce in tragedia, come un’ubriachezza di vita che porta fatalmente alla morte. Il passaggio dall’infanzia all’età adulta è un momento delicato che, per i genitori delle sorelle Lisbon, appare come una parentesi di estrema fragilità, esposta più che mai alle violente tentazioni del mondo. Il loro atteggiamento, eccessivamente protettivo nei confronti delle figlie, è la trepida attenzione che si rivolge ad un fiore che sboccia, ma nel contempo, esso è conseguenza della paura che si prova davanti all’inquietante spettacolo della trasformazione: un processo in cui si perdono le certezze acquisite e ci si incammina verso l’ignoto. Sottrarsi totalmente a questa temibile avventura è, però, contrario alle leggi naturali, perché significa rinunciare ad esplorare l’esistenza, ritirandosi dentro un orizzonte vicino e chiuso: quello del paese natio o della casa parentale, in cui i coniugi Lisbon rinchiudono le ragazze credendo di salvarle. Invece l’operazione ha il solo effetto di togliere loro il soffio vitale, di soffocare una crescita che ha bisogno di spazi aperti ed aria libera. L’atmosfera asfissiante che avvolge l’epilogo del film è l’effluvio pestifero della stagnazione: di una morte che, anziché essere allontanata dall’ingenua sfrenatezza della gioventù, viene coltivata dalla sterile e miope prudenza degli adulti. Senza rischio non ci sono prospettive, senza avventatezza non c’è rinnovamento: un giardino coltivato e pulito, per quanto mirabile e degno di rispetto, non dona al mondo quella fonte di bellezza selvaggia e primitiva da cui nascono le creazioni inattese e miracolose.
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Ciao OGM, non avrei mai potuto esprimere con parole migliori il senso d'angoscia che trasmette il film. Ho trovato però invadente, in alcuno punti, la voce fuori campo di Ribisi, spesso enunciatrice di poeticismi didascalici un po' forzati.
Grazie del commento. Le trasposizioni cinematografiche dei romanzi spesso si sentono (eccessivamente) debitrici nei confronti delle loro fonti letterarie. Ciò può condurre a quella "invasività" della parola narrante che tu giustamente rilevi.
Ma la poesia del testo può essere unicamente affidata alle immagini? Oppure il pensiero deve, a volte, irrompere nel racconto, rivendicando la propria autonomia rispetto all'azione recitata? Il problema merita attenzione.
Un caro saluto, e a presto.
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