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Lavagne

Regia di Samira Makhmalbaf vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Lavagne

di ga.s
8 stelle

La giovanissima Samira Makhmalbaf (figlia del regista Mohsen), alla sua seconda regia, con questa produzione italo-irachena (del padre e dell’italiano Marco Müller) realizza un film assai strano. Lavagne infatti risente certamente del clima ormai collaudato del cinema iraniano già visto (quello di Mohsen Makhmalbaf, cosceneggiatore di Lavagne – Takhté siah in originale – e del più noto Abbas Kiarostami), ma non manca di spunti originali, particolarmente presenti nel senso di magia e nelle atmosfere da purgatorio che emanano dai luoghi aridi in cui s’ambienta la vicenda narrata, e nell’inquieto senso di precarietà vissuto dalle persone costrette a fuggire durante gli attacchi condotti da misteriosi elicotteri.
In parte dramma, in parte commedia, Lavagne passa continuamente dal dettaglio – le singole vicende private – all’insieme storico – gli attacchi degli alicotteri – ma non per questo perde ritmo e anzi non fa che aumentare la metafisicità che aleggia così per tutto il film. Dramma e commedia si fondono in una storia che non ha un preciso sbocco, che si abbandona ai suoi spettatori regalando una lieve tensione a cui si arriva adeguatamente impreparati, unitamente ad attimi di ilarità che squarciano quel senso di nulla comunque sempre presente nel film il quale, non certo per questi attimi di commedia, perde la sua dimesione (del resto anche Shakespeare a volte inseriva brevi momenti di distensione nelle sue tragedie). Le migliori scene del film sono i duetti tra Said e la moglie scontrosa che forniscono così piacevoli attimi di ilarità, ma ciò che colpisce maggiormente è uno degli attacchi senza pietà degli elicotteri che non risparmiano nemmeno i ragazzi e, visivamente, è interessante la scena in cui i giovanissimi contrabbandieri cercano di nascondersi tra un folto gruppo di pecore in cammino: la macchina da presa scende in mezzo a loro, ci pone nella loro stessa precarietà, ci suggerisce la loro paura in quanto essi diventano, in quel momento, proprio delle pecore, una delle categorie animali che per eccellenza rappresentano le vittime sacrificali, quello che sono destinati a diventare i giovani contrabbandieri.
Un buon film su gente senza speranza, in perenne viaggio, alla ricerca di qualcosa che non sembra più esserci, avvinti dalla povertà ma non per questo domi, riecheggiati dal paesaggio terroso, duro e impervio dell’Iran, destinati ad incontrare gente malata, in fuga, destinata alla morte. Un film che giustamente a Cannes è stato insignito del premio della giuria. Un’ottima prova d’una regista ventenne in un paese che certo non ha gl’agi occidentali e che nonostante ciò dimostra una propria vitale tendenza.

Sulla trama

Il film, ambientato nel Kurdistan iracheno, vede in scena un gruppo di insegnanti che con le loro lavagne sulle spalle vagano nella vana ricerca di villaggi e studenti. Il gruppo si divide e il film sceglie di seguire le peripezie di due maestri: Reeboir che incontra alcuni giovanissimi contrabbandieri a cui vorrebbe per l’appunto fare da insegnate, mentre l’altro, Said, s’unisce ad un gruppo composto per lo più da anziani. Gli unici giovani sono il nipote e la figlia di uno degli uomini in cammino: Said finirà per sposare la giovane donna offrendo la sua lavagna. Mentre avvengono queste piccole vicende, alcuni misteriosi elicotteri sorvolano le montagne e sparano spingendo tutti a cercare la fuga o un nascondiglio.

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