Regia di Roberto De Feo, Paolo Strippoli vedi scheda film
SaudiCalabria Horror Story: al Villaggio di Mezzaestate hanno cambiato sindaco: vota Chanel per un raccolto migliore e per armenti più contenti! (An Usual Horror Story.)
“A Classic Horror Story”, diretto da Roberto De Feo (“Ice Cream”, “the Nest”) e Paolo Strippoli (“Storia Triste di un Pugile Scemo”, “Nessun Dorma”, “Piove”) e da loro scritto con Lucio Besana, David Bellini e Milo Tissone [cioè: ci si sono messi in 5 (cinque): probabilmente tre pensavano alle consonanti e due alle vocali], aiuta (involontariamente ed inconsapevolmente) a (ri)definire meglio il concetto di “classico”, contrapponendogli, a dispetto del titolo falsamente ed ingannevolmente tautologico, proprio sé stesso, precipitabile nell’aggettivo “solito”. “An Usual Horror Story”. Ecco, adesso sì. In cui si cita diegeticamente Raimi [direttamente nei dialoghi, che comunque tirate le somme risultano non troppo pleonastici e imbarazzanti (diciamo: sopportabili), ché anche la metamediale autoparodia non sbraca: “È solo la scopiazzatura di tanti altri film!”], tutto lo slasher possibile dai '70 all'oggi, "the Wicker Man", "the Village" e "MidSommar", mica Srdan Spasojevic. Però il suo sporco lavoro lo fa, e in alcuni frangenti, pochi, ma rimarcabili, lavora, anche se non di fino, benino, con le apparenti incongruenze che alla fine s’incastrano, e in particolare la sufficienza è raggiunta grazie agli attori, e soprattutto attraverso un bravissimo Peppino Mazzotta (“il Commissario Montalbano”, “Noi Credevamo”, “Anime Nere”), che svetta non certo solo in confronto ai giovani colleghi coinvolti nel progetto, ma contestualizzato alla media generale, mentre pure il resto del cast, anche se a suo modo, se la cav(icchi)a, con in testa la protagonista Matilda (Anna Ingrid) Lutz di “Revenge”, e a seguire Francesco Russo (“Zio Gianni”, “il Regno” e il prossimo “Dica 33!” del Guido Chiesa versione Colorado/Medusa), il più altalenante (ma deve portare il carico del co-protagonista e demiurgo, la cui vera natura e l'effettivo ruolo ruolo si deducono ben prima del disvelamento, ma la cosa fa parte del gioco, e poi aiuta a non partire per la tangente in direzione di "the Cabin in the Woods"), Will Merrick (“Skins”) e Yuliia Sobol (“i Figli della Notte”), i meno esposti, Cristina Donadio (grazie alla quale Mastrosso incontra Carcagnosso, mentre Osso rimane al di là dello stretto; ma ogni riferimento ad un etico messaggio moralistico/moraleggiante impegnato fortunatamente/fortunosamente sembra venga scartato/schivato, a parte l'accenno diretto alla connivenza legislativo/amministrativo/esecutivo/politico/mafiosa rappresentato da un Pandino 4x4 della Polizia Locale in vece della Forestale, con annesso e connesso un bel po' di cretinismo delle valli), e la giovane Alida Baldari Calabria (“Dogman”, “Pinocchio”), molto brava, da tenere d’occhio; e a chiudere il cameo di Francesca Cavallin, da “the Nest”, nel prologo. E poi il comparto tecnico, di buona fattura/levatura: fotografia di Emanuele Pasquet (la Ragazza del Mondo, the Nest, SKAM Italia e gli ultimi film del Guido Chiesa di cui sopra), montaggio di Federico Palmerini (esordiente nel lungo, ma anche lui al lavoro sulla serie della TIM Vision) e musiche di Massimiliano Mechelli (che provenendo da “In the Trap” e “il Legame” aveva a disposizione ampi margini di miglioramento). Prodotto dal gruppo Viacom/CBS mediante la Rainbow (Straffi) e dalla suddetta sua controllata Colorado (Totti e Usai) e direttamente anche da Netflix, che ovviamente distribuisce.
“Il Cielo in una Stanza” di Gino Paoli e “la Casa” di Sergio Endrigo (Vinicius de Moraes e Sergio Bardotti) usate a contrasto (un bel po’ gratuito) non stonano (e come potrebbero, bisognerebbe impegnarsi a dismisura). Invece la nota più dissonante - a parte la Calabria (Aspromonte/Sila) interpretata dalla Puglia (Foresta Umbra del Gargano; ché la Sacra Corona Unita non è mica la figlia della serva, eh) - è rappresentata dalla prima parte della scena inframmezzata ai titoli di coda, con l’utente del deep web, buon padre di famiglia, nickname SAMUEL19, e che di anni ne avrà almeno il doppio (e però non li dimostra, ed infatti, andando a spulciare i crediti, sembra essere interpretato in un cameo da Justin Korovkin - anch’esso da “the Nest”, e poi in “Favolacce” e “the Book of Vision” -, che di anni al momento delle riprese ne aveva, per l’appunto, fra 13 e 14, e si vede...), che snocciola la solita frase fatta da “Eh, signora mia, non ci sono più le mezze stagioni!”, vale a dire “Noi italiani non siamo bravi a fare gli horror”, assumendo così su di sé la duplice valenza di capro espiatorio moralmente ed eticamente stigmatizzante quella trasversale fetta di umanità (i clienti meno abbienti degli “Hostel” e gli utenti col reddito di cittadinanza degli “Srpski Film”) e al contempo di grimaldello per inscenare un tentativo un bel po’ patetico da parte degli autori di autotutelarsi attaccando preventivamente (anche giustamente, eh) la massa verminante di commentatori - d'ogni età ed estra(di)zione sociale - da social media e dei vari siti, blog e piattaforme aperti allo scambio dei pareri (la varia fauna, spesso interscambiabile, di commissari tecnici della nazionale di calcio - o di curling, all’occasione -, virologi, ingegneri nucleari, critici cinematografici, etc…). Certo, il fatto che gl'ignoranti, arroganti, superficiali, pretenziosi e sentenziosi coglioni da tastiera se lo meritino non è in alcun modo un salvacondotto a prescindere per chi lancia (veicolandolo poi, per inciso, tramite un sito di real gore, che non è proprio FilmTV.it, ecco), il controsberleffo in difesa: l'eventuale risposta (diretta e/o indiretta) deve chiamrsi Cinema. E qui ce n'è, volendo, sì, ma giusto un po', che pur non basta.
Mi hanno fatto molto ridere due cose, una a scapito e l’altra a favore degli autori: la prima, è che i protagonisti aspettano buona parte della rimanente notte per liberare la bambina dal suo sarcofago verticale di rami (una vergine di Norimberga un po’ meno atroce), facendolo difatti solo alle prime luci dell’alba, la seconda invece riguarda sempre la sequenza dei titoli di coda summenzionata, e nello specifico il commento di KITTY89 che recita “Almeno si capisce quando parlano?”, che anche qui su FTV ha avuto i suoi emuli ed epigoni a proposito, ad esempio, ultimamente, del già per altre ragioni nominato “Favolacce”: le mazzate, proprio.
Non ho ancora trovato, fra le poche recensioni lette (scientemente scelte in dicotomia spinta fra le più affidabili e le più dementi), alcun riferimento “tanto per farlo” a “Diary of the Dead”. Forse c’è ancora speranza per l’umanità. O forse semplicemente Romero, per quanto riguarda la seconda categoria citata, è uno sconosciuto.
“Vorrei dire a BloodFlix (a parte che deve pagare i diritti a NetFlix per il design dell’architettura del sito e per il jingle di riconoscimento), dato ch’esborso fior di pagliuzze di BitCoin minate (scavate + forgiate) a fatica per pagare l’abbonamento, oltre allo sbattimento di utilizzare protocolli di onion routing + virtual private network (a proposito: e poi dopo tutta ‘sta menata l’accesso si effettua grazie a un PIN di 4 cifre?!?), che non può utilizzare come immagine di copertina/presentazione un fotogramma tratto dal FINALE del film, ché da quel frammento si capisce e comprende benissimo che può trattarsi solo del finale e si evince e deduce altrettanto facilmente qual è la situazione in atto che vede in gioco la protagonista in p.p. e l’ambientazione in back-ground sfocato, ma riconoscibilissima. Pago per uno snuff movie, pensavo foste gente seria!” - SAMUEL19
SaudiCalabria Horror Story: al Villaggio di Mezzaestate hanno cambiato sindaco: vota Chanel per un raccolto migliore e per armenti più contenti! (An Usual Horror Story.)
**¾ (***) - 5.75
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