Regia di Steven Soderbergh vedi scheda film
Quando qualcuno cercherà di convincervi a prendere parte a un’iniziativa rassicurandovi che andrà tutto bene, non fidatevi, almeno non pensate che sarà effettivamente agevole così come esposto nella versione a tavolino. Infatti, sulla carta non compare nessuna delle tante variabili che, viceversa, la ruota del destino ha la dote di saper piazzare ex abrupto, rovesciando tutti gli ipotetici punti fermi, aprendo una partita tutta da giocare, nel rispetto di regole da riscrivere.
Stravolgimenti del genere avvengono con frequenza tanto maggiore quanto più è ampia la disparità tra i soggetti coinvolti. In No sudden move, la ragnatela distesa con asciutta scrupolosità da Steven Soderbergh raccoglie personaggi di ogni tipo, assumendo la forma di esempio lapalissiano di quanto illustrato in apertura, di come sussistano delle gerarchie consolidate, intoccabili anche quando pensi di avere a disposizione le armi sufficiente per piazzare il colpo grosso e rovesciare gli equilibri.
Detroit, 1954. Curt Goyns (Don Cheadle – Crash – Contatto fisico) e Ronald Russo (Benicio Del Toro - Traffic), due criminali di scarso successo, vengono ingaggiati da Doug Jones (Brendan Fraser – La mummia) per tenere sott’occhio la moglie e i figli di Matt Wertz (David Harbour – Stranger things) mentre quest’ultimo dovrà sottrarre e consegnare un documento di enorme valore.
Niente andrà come preventivato, attirando le attenzioni della polizia nella figura di Joe Finney (Jon Hamm – Mad men) e di altri uomini – come Frank Capelli (Ray Liotta – Quei bravi ragazzi) - legati alla malavita, fino a coinvolgere con Mike Lowen (Matt Damon – Jason Bourne) le più alte sfere.
No sudden move conferma l’autorità della regia di Steven Soderbergh, ritornato a essere assai prolifico negli ultimi quattro anni (questo film cade a stretto giro tra Lasciali parlare e il prossimo Kimi) dopo che, con Dietro i candelabri, aveva preannunciato l’addio.
Questa volta, trae spunto da un fatto realmente accaduto - che vi lascio scoprire come il film vuole, ossia solo alla sua conclusione - per scolpire un thriller consequenziale, dotato di un organigramma che continua a togliere e aggiungere personaggi manipolando l’importanza sostanziale degli stessi.
Dunque, il regista di Atlanta predispone dei poli che determinano le traiettorie e aziona una serie di leve che producono cerchi concentrici, configurando un thriller di denuncia, al contempo specifico del caso e universale, per come descrive una congiuntura replicabile praticamente in qualsiasi sistema macroeconomico.
Contestualmente, l’autore ottiene un’atmosfera compatta e un avvolgente senso deterministico, che abbracciano una tensione sobria, ingredienti che suonano all’unisono, permettendo di calcificare il nettare del film, ovvero la testimonianza del fatto che gli ordini naturali non siano sovvertibili, che i grandi interessi finiscano sempre per trionfare, che i poteri forti dettino legge, talvolta ritrovandosi paradossalmente tra le mani anche di più di quanto reclamato.
Infine, è doveroso registrare il lavoro svolto dal cast, principalmente costituito da interpreti polifonici che in passato hanno collaborato una o più volte con il regista. Essendo al centro del disegno, brillano soprattutto le stelle di Don Cheadle e Benicio Del Toro, due interpreti di rara sostanza, mentre intorno a loro si alternano un Brendan Fraser sempre più ingombrante (fisicamente parlando), Kieran Culkin, che con i ruoli da sbandato ci ha fatto il callo, un professionale Ray Liotta e, per finire, un inusuale Matt Damon, che detta buona parte della linea di chiusura, quando viene rivelato l’effettivo bandolo della matassa.
Riassumendo, No sudden move vede l’eclettico Steven Soderbergh comandare le operazioni senza lasciare nulla al caso, senza trascurare nemmeno una virgola. Ha un’architettura talmente pragmatica - fin dai preparativi iniziali - da rischiare di risultare monocorde, è lucido nell’esposizione della tesi e nella sua dimostrazione, è coerente con se stesso e razionale, compilando una distinta che, tra scelte e ripercussioni, imprevisti e discese in campo, passi falsi e movimenti laterali, mantiene (quasi) sempre un bilanciamento esemplare.
Metodico e consapevole.
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