Regia di Max Nardari vedi scheda film
Film a episodi come da nostrana tradizione, senza bisogno di disturbare mostri, nuovi mostri e dintorni: è un collage di corti girati negli anni 2012-2018. Cliché e macchiette si sprecano ma tutto sommato ci potrebbero stare, però la retorica... D'altro canto, cosa aspettarsi da un secondo episodio 'inserito tra i film educativi dell’Agis scuola per la distribuzione in tutte le scuole d'Italia contro l’omofobia' (e già ho l'orticaria), e un terzo 'promosso dall'ONG Engim e sostenuto dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale' (ora i conati)? Se poi aggiungiamo al tutto l'immancabile promozione delle 'tematiche sociali' (chi sceglie cosa in base a quali priorità e coi soldi di chi?) da parte di Rai cinema, il danno è fatto. Tuttavia, Diversamente non si prende troppo sul serio e inoltre non mi è chiaro se debba considerarlo un film o una recita per bambini a scopo didattico-edificante - il che potrebbe giustificare anche la retorica.
Non mi è chiaro altresì, per il primo episodio (Lei e l'altra, 2012), chi e/o come abbia informato gli sceneggiatori sul mondo accademico e della ricerca: la trentenne Laura (Claudia Zanella) è a Roma per una cattedra universitaria e il suo sogno è fare la ricercatrice negli Stati Uniti? Il percorso che si segue è inverso, la cattedra arriva, se arriva, dopo aver fatto ricerca (o durante) e non certo prima. Non solo ma, come se non bastasse, dopo il concorso le viene proposto un bando per dottorato di ricerca, per lei apparecchiato. E qui mi perplimo, perchè la cosa rivela contemporaneamente, anche se non so se consapevolmente, una buona conoscenza del mondo accademico e una sua totale ignoranza: a) l'istituzione ogni anno di concorsi per dottorato di ricerca ad personam, cuciti su misura di modo da tagliar fuori tutti tranne un candidato, è una tipica abitudine italiana; b) è sostanzialmente impossibile oggi accedere ad una cattedra senza prima avere un PhD. E mi perplimo ancor più quando ella il dottorato lo rifiuta, perché ha fatto niente di meno che un master in Belgio e tre anni di specializzazione, ossia il normale percorso che fanno tutti i medici, e non solo loro, nulla di speciale. Percorso dopo il quale, di solito e se si continua, viene il dottorato e non la cattedra, e una che vuole fare ricerca queste cose dovrebbe saperle e quel percorso dovrebbe voler seguire, in Italia così come negli USA.
Non è questione di pedanteria ma di logica e di rispetto per lo spettatore: è come se un calciatore dicesse che è lì per un contratto in serie A per poi un giorno finalmente arrivare in C (ricercatore) se non in D (dottorando, o addirittura Eccellenza se in D mettiamo il post-doc. B per completezza è quello che una volta si chiamava Associato - cioè non Ordinario). Poi, quando ristabilitasi casualmente un po' di logica, il contratto in D - in questo caso specifico indispensabile per la A - arriva, rifiuta. Preoccupante che certe cognizioni siano scontate se riguardano il calcio e mistero su cui nemmeno si fa lo sforzo di informarsi se riguardano la carriera accademica (in questo caso, ma potrebbe valere per un milione di altre cose in altri film), e che possano essere vomitate su un pubblico evidentemente considerato ebete, incapace di coglierne la palese inesatteza e insensatezza. Una cosa però l'hanno imbroccata alla grande: tra l'aspirante-ricercatrice-percorritrice-di-carriera-inversa-non-sa-nemmeno-lei-quale-sia-e-come-si-svolga e la coatta-laureata (Michela Andreozzi), è più sveglia la seconda, nel mondo reale e non accademiCOvATtaTO. Eh sì... un viaggetto nelle facoltà di medicina degli States le farebbe in effetti bene - vedi come la svezzano, altro che concorsino accademico romano e piagnisteo della frustrazione... Difatti, dopo soli 3 anni in USA eccola candidata al Nobel (e ospite in tv da Elisabetta Ferracini, in gran forma): velo pietoso.
Il secondo episodio (Lui e l'altro, 2011), storia di convivenza tra un inquilino gay (Ivan Bacchi) e uno etero (Alessandro Borghi), e di riconquista della ex (Giorgia Würth - casualmente tanto Zanella quanto Würth sono poi diventate ex di Fausto Brizzi: momento gossip), pare la puntata Three Gays of the Condo (serie 14 episodio 17) dei Simpson, con tanto di prove abito in negozio. A proposito di calcio, qui il vero protagonista in realtà è isso: gay, etero o ex chi se ne fotte quando a maggica vince er derby, il resto scompare - con buona pace di Elettra Lamborghini - e volemose bene. I mezzi non sono molti, relativamente ai primi due episodi capisco usare lo stesso appartamento, ma lo stesso libro (L'educazione sentimentale di Flaubert) non capisco bene che significato abbia: coincidenza? Necessità? Un vezzo? L'unico libro che avete in biblioteca? Un fatto affettivo? Altro recondito significato? Il terzo episodio (Noi e gli altri, 2013), naturalmente sul razzismo, è didascalico peggio ancora del secondo, con una Caterina Misasi che nei primi secondi esordisce con: 'è un negro!', termine che nemmeno i centenari nostalgici e i neofascisti usano più - ormai a usarlo siamo rimasti solo io e i fratelli, yo nigga. Gli altri due... mi son già fatto due maroni a scrivere dei primi tre.
Insomma via, trattasi di corti ad uso didattico, per bimbi, non certo materiale con cui si può confezionare un film. Un giudizio compiuto come materiale didattico non so darlo, ne ignoro l'efficacia e gli effetti ma se fosse diretto a mio figlio avrei qualche remora - probabilmente sovrastimo il corredo genetico di indubbia qualità sopraffina e l'intelligenza del figlio che non ho. A parte gli scherzi, le remore permangono ma credo si possa salvare più di qualcosa - ad es. il terzo episodio ma anche i seguenti, al terzo affini, L'amore non ha religione (2018) e Uno di noi (2017). Il giudizio come materia da film invece, insomma... s'è capito. Guizzi di regia non ce ne sono, la scrittura è quel che è... con uno stile talmente didascalico che, se può passare quando rivolto ai bimbi, risulta difficilmente digeribile dagli adulti - a partire dallo sciocco epilogo del primo episodio, salvabile solo se si considera l'esigenza di enfatizzare ad uso esplicativo per un pubblico di infanti. Idem per la direzione degli interpreti, spesso enfatici e sopra le righe, cosa probabilmente utile per catturare un bimbo e meglio esplicitare (ed esplicare la funzione didattica), ma fastidiosa per un adulto.
Come valutarlo quindi? Film? Recita scolastica/pubblicità progresso? Facciamo una media? Perché nel primo caso il giudizio è non pervenuto, nel secondo eccetto il primo episodio (lo trovo davvero farraginoso e problematico anche per l'uso didattico, se è vero che dovevano venir fuori questioni di differenze sociali, economiche e culturali, le raccomandazioni, la scuola, il lavoro... anche troppo e anche no... non così per favore...) e in parte il secondo, il resto secondo me tutto sommato è salvabile e alla sufficienza ci si arriva. Nel dubbio 2 stelle e mezza.
Appendice
Leggendo qualche opinione in rete, cosa che fino ad ora avevo evitato accuratamente di fare, tra quelle a cui il film è piaciuto ho notato che si sottolinea il fatto che faccia riflettere - e non mi riferisco all'utente di film tv che ha scritto il commento breve no, ho trovato questa cosa un po' dappertutto. Ora mi chiedo, e al di là che benvenuta sia la riflessione: fa riflettere chi? Perché se fa riflettere i bambini ci può stare, se invece chi bambino non è ha bisogno di questo per riflettere... allora a proposito di tradizione nostrana mi parte un pippone (tanto... didatticamente ci sta :D) molto più generale che esula in parte dal film in questione ma non ne è scollegato se lo considero film e non didattica per bimbi.
Per me continuerà a rimanere in parte un mistero il motivo per cui questioni che possono essere importanti [1], debbano sempre essere affrontate come se si fosse al bar a parlare di calcio (per ricollegarmi a quanto sopra), tra autoproclamatisi CT: qualunquismo, superficialità, sciatteria, banalità, ideologia, bias di ogni tipo, totale incomprensione ma soprattutto desiderio di provare a comprendere quel poco che sappiamo dei meccanismi basilari (culturali, economici, psicologici, biologici, genetici, cognitivi, neuronali...) che regolano i rapporti tra gli individui e quindi 'la società' - e, nel caso del cinema, provando a metterli in scena, rappresentarli, comunicarli. È un approccio diffuso e probabilmente inevitabile portato dei processi di democratizzazione (di qualsiasi cosa) ma è ancor più diffuso e maggioritario in certi contesti, tra cui l'Italia, in specie negli ultimi 40-45 anni. Lo è talmente da aver contribuito alla creazione e alla permanenza di una bolla di irrealtà dentro la quale buona parte degli italiani è rinchiusa e dentro la quale si crogiola [2]. Il cinema ha contribuito anche lui, e non poco, sia alimentandola (e alimentandone l'immaginario) sia cavalcandola e andando a rimorchio - sia nutrendosi di finanziamenti pubblici [3].
Anche se e quando non ci si prende sul serio... noto in effetti che ciò può costituire un ulteriore problema, se esteso al pubblico dibattito nel suo complesso ed elevato ad approccio tipo. Il dibattito pubblico italiano infatti, da quel che vedo, viaggia su due binari in realtà non paralleli ma che si intersecano, i quali corrispondono a due registri, che si sostengono e alimentano a vicenda: il primo è la chiacchiera da bar (nella variante da social - universalmente diffusa ma variamente 'impattante' a seconda degli 'anticorpi' del 'sistema' locale) e l'altro il ridurre tutto a battuta - che è poi un modo subdolo per accettare la chiacchiera da bar, farsela andar bene e finanche darle dignità, scambiandola per una cosa seria e accettandone la natura puramente retorica e, se politicamente orientata, unicamente propagandistica. Ed è un 'escamotage' per salvare la faccia pur ammettendo, di fatto, la propria incompetenza e inadeguatezza e mancanza di strumenti e di voglia di affrontare seriamente le questioni in oggetto, qualsiasi esse siano. Buttarla in vacca (magari con quel tanto, di nuovo, di retorica spicciola e di sentimentalismo moralistico d'accatto necessari) è la prima legge del regime pressapochistico nonché apparentemente democraticissimo dell'uno vale uno, del resto, così come la prima regola della chiacchiera da bar...
[1] Per quanto ci si marci non poco da tutte le parti, tra politiche identitarie, rivendicazioni di pseudo-minoranze, rivendicazioni sindacali, sussidi, risarcimenti, intolleranze, chiusura, buonismo, politically correct parossistico e contraddittoriamente intollerante e fondamentalista, da polizia del pensiero, e anti-politically correct che arriva ad ospitare reazionari, fascistoidi e altrettanti fondamentalisti intolleranti da ogni dove.
[2] Il made in Italy, il Rinascimento, la cucina, l'arte, la natura, piccolo è bello... tutte stronzate (se, come avviene puntualmente, esageratamente dilatate ben oltre la loro dimensione e il loro peso) da cartolina e album dei ricordi da pugili suonati e ormai falliti, il passato e il piccolo mondo in cui rifugiarsi a fronte di un presente che non si comprende e al quale non si riesce ad adattarsi, men che meno con successo, col corollario di frustrazioni e frustrati, lamentele e velleitarie pseudo-rivendicazioni che ciò comporta, ma che di ciò sono anche le concause.
[3] Naturale che i mediocri finanzino la mediocrità che alimenta la bolla e la dipendenza mendicante dalla politica e dal politico, è pur sempre un modo per mantenere un 'cinema di regime' soft, come si confà ai governi democratici.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta