Regia di Lizzie Borden vedi scheda film
Lizzie Borden, Il futuro che non passa
Born in Flames è un cult, una profezia, un film di fantascienza.
Lizzie Borden, nome storico del cinema al femminile, nel pressbook del film dichiara:
“Volevo creare una fantasia su come varie persone potessero incontrarsi attraverso linee di razza e di classe. Ecco perché chiamo il film “fantascienza”. Se fossi andata a scuola di cinema non mi sarei mai imbarcata a fare un film in questo modo, mi avrebbero detto che ero pazza”.
SINOSSI
New York City, in un futuro imprecisato, dieci anni dopo la grande “guerra di rivoluzione social-democratica”.
I poveri non più “aggrappati ai loro sogni” e i ricchi solidali e intenti al bene comune, così la rivoluzione avrebbe cambiato il corso della Storia trasformando in realtà l’utopia.
È quanto uomini (e donne) della buona borghesia, i media e le istituzioni affermano sia accaduto.
A doverosa celebrazione del decennale il Presidente sta parlando alla nazione di salario alle casalinghe, i media osannano, i servizi segreti spiano, le aziende licenziano le donne perché sono donne e bisogna far posto a minoranze ben più bisognose.
E la rivoluzione?
Con questa fantasia avveniristica Lizzie Borden nel 1983 finiva di girare Born in Flames, cinque anni di lavoro, ricerca non facile di finanziamenti, appena entravano un po’ di dollari si andava avanti con attori presi dalla strada, locations che NY forniva naturalmente fra quartieri del centro e il Lower East Side, donne della Socialist Youth Review, già famose o che lo sarebbero diventate, come Kathrin Bigelow, PatMurphy,AdeleBertei, musicistapunk, JeanneSatterfiel campionessa di basket nella parte di Adelaide Norris, figura centrale del film e tante voci nere raccolte nei bar per lesbiche o in gruppi di sensibilizzazione allora molto diffusi.
“ Montavo tutto il giorno, tutti i giorni, e possedevo i mezzi di produzione: una macchina fotografica e un registratore Nagra. Avevo affittato un tavolo di montaggio che usavo tutto il tempo per pochissimi soldi. Ogni volta che avevo 200 dollari, potevo girare qualcosa. Mi ci è voluto un'eternità per trovare qualcuno che creasse l'effetto speciale per il finale con la torre di trasmissione del World Trade Center che esplode”
Il bisogno di dire quel che c’era da dire, mettere in scena una rivoluzione- beffa, creare un’allegoria in cui rispecchiare il presente, parlare di un futuro distopico che a distanza di quaranta anni è ancora un futuro che non passa era una priorità e il cinema più di ogni altro mezzo poteva arrivare dritto al cuore.
https://www.youtube.com/watch?v=Gt4TSXkNaXw
Borden non crea percorsi narrativi coesi, lineari, piuttosto aggrega sequenze popolate da animati collettivi femministi, speaker radio televisivi di varia estrazione e orientamento politico, leader storiche di battaglie allora frequenti, filmati di repertorio, manifestazioni, slogan, bandiere, scontri davanti a cancelli di fabbriche, discussioni fra gruppi femministi spesso in contrasto sulle strategie. È un magma in cui le donne si muovono con energia e con fatica, spesso annaspando, a volte vittime impotenti , altre volte vincitrici, soprattutto quando riescono a trovare unità nella lotta.
Due radio pirata fanno da collante, Radio Ragazza e Radio Phoenix, la voce delle donne, l’unico canale di informazione credibile per contrastare l’incapacità ottusa del Partito fermo su retrive rendite di posizione e la voce di giornalisti proni al potere che spacciano per conquiste sociali vecchi schemi obsoleti.
Born in Flames è una navicella spaziale proiettata nel tempo, “un tempo- dice la regista- dove le donne operano perché venga attuato ciò che è sempre stato promesso e mai avvenuto”.
Il film procede su binari che, partendo da direzioni diverse, arrivano allo stesso punto, il cuore della Grande Mela, il centro pulsante degli affari, il grande defunto, il World Trade Center.
“ Il World Trade Center era l’edificio che amavamo odiare” disse Borden dopo l’11 settembre “mi manca. Che ci stava a fare lì? Erano due torri falliche in mezzo al nulla”.
Potenza della grande fabbrica di sogni che è il cinema, quasi venti anni prima del 2001, Borden riprendeva una giovane donna che lasciava una valigetta in un angolo all’ultimo piano e la grande antenna di trasmissione radio che svettava fra le due torri esplodeva con un gran boato.
Zero vittime, le donne non cercavano il sangue, bastava interrompere il discorso del presidente a reti unificate.
E bastava impedire che opinionisti autorevoli continuassero a spacciare in televisione teorie pseudo freudiane del tipo: “… le donne sono soggette a impulsi primari radicali profondamente masochistici…” e “ poiché temono di mostrarli si manifestano sotto forma di sadismo”.
Bastava infine farla finita di dire al Paese che Adelaide Norris si era suicidata in carcere, la donna era stata uccisa perché scomoda, ma il Women’s army non mollava, gruppi armati di fischietto e bicicletta continuavano a pattugliare le strade di notte per evitare stupri e Zella Wogley, leader carismatica del movimento donne nere lesbiche, rilasciava dichiarazioni fulminanti sulla necessità di difendersi, fosse anche con le armi, se necessario.
Adelaide Norris, promessa del basket, era stata la sua pupilla e aveva imparato nel deserto marocchino le tecniche di guerriglia delle donne del Fronte Polisario. Scesa dall’aereo, al ritorno, fu prelevata da agenti federali e ben presto si seppe che era stata “suicidata” in prigione.
Tutto quello che decenni di lotte, sconfitte e vittorie hanno detto delle donne è raccolto in Born in Flames con la concisione drammatica del fatto di cronaca e la forza della prospettiva storica.
L’intento parodistico è evidente quando si tratta di mettere a nudo menzogne, compromissioni e mistificazioni, “ femminismo futuristico” fu il termine coniato dal New York Times quando il film uscì negli States, e quello sguardo acuminato e intransigente di chi ha una profonda esperienza delle cose e ne sa delineare i contorni lasciò il segno.
A Lizzie Borden non servono lunghi discorsi ed elaborate sequenze per mettere a fuoco retroterra, approdi, percorsi faticosi per andare avanti e contrastare l’accusa pretestuosa e frequente contro le donne di egoismo, danno al bene comune, lotta solo per sé stesse.
Oggi Lizzie Borden guarda con disincanto quell’esperienza alla luce dei problemi che ancora esistono nella vita delle donne:
“Non mi aspettavo che Born in Flames fosse rilevante oggi. Pensavo che i problemi delle donne espressi nel film sarebbero stati risolti. Ma chiaramente non è ancora così. Sono in corso e in alcuni casi è peggio.
Born in Flames aveva lo scopo di presentare una serie di domande su come un gruppo radicale induce il cambiamento. Distribuisci volantini, sciopera, convinci la gente ad ascoltarti? E a che punto prendi le armi? Volevo chiedermi se questo approccio avrebbe funzionato in un paese capitalista come gli Stati Uniti. Ho preso in prestito molte immagini dalla Battaglia di Algeri [Gillo Pontecorvo, 1967.] Questo tipo di rivoluzione può funzionare in un paese come Algeri ma non qui. Volevo che la gente pensasse a cosa sarebbe successo dopo l'ultima ripresa, le donne arrestate, picchiate, punite”
L’Antology film archivies ha restaurato il film nel 2016 e la forza delle immagini è tornata intatta nei colori saturi, nel montaggio veloce, ellittico, nel messaggio non superato dal tempo, nella regia capace di esprimere simultaneamente una molteplicità di punti di vista,
Il giudizio del New Yorker dopo il restauro ha sottolineato "la creatività libera, ardente e spontanea di 'Born in Flames' che emerge come una modalità indispensabile di cambiamento radicale, una modalità che molti registi contemporanei con intenzioni politiche devono ancora assimilare".
Quella di Lizzie Borden è un’indagine da un punto di vista femminista su razza, classe, capitalismo e potere.
Nel mondo del cinema e delle arti i riconoscimenti sono sempre stati molti, ma quel che più conta è la sua radicale indipendenza.
" Born in Flames e Working Girls sono gli unici due film che considero miei. Gli altri - specialmente Love Crimes ed Erotique - sono stati così radicalmente rimontati e hanno interferito con i produttori, che non sono “ miei”in ogni senso della parola… Non ho bisogno per fare molti film, ho solo bisogno di credere in quelli che faccio. Preferirei rimanere in silenzio nel senso del saggio di Susan Sontag finché non sarò in grado di fare qualcosa in cui credo. E le questioni in cui credo... questioni sociali, questioni femministe, questioni radicali - sono difficili da finanziare, anche in modo indipendente".
Lizzie Borden, nel 2021 invitata a diventare membro dell'Academy of Motion Picture Arts and Sciences, è un nome che dice poco al pubblico di massa, perforare il muro che la grande distribuzione sostenuta da media e poteri forti innalza intorno alle voci libere è impresa titanica, eppure basterebbe ascoltare quel che dice Isabel, speaker di radio Ragazza nel finale di Born in Flames.
Cose molto semplici, ma a quanto pare le più difficili da realizzare:
“Questa storia non riguarda solo la libertà della donna ma anche sessismo, razzismo, bigottismo e nazionalismo, le false religioni e la blasfemia della chiesa statale, l’avvelenamento ambientale, gli armamenti nucleari, i soprusi dei potenti contro gli impotenti che hanno come scopo l’abuso depravato degli esseri umani, relegati in un angolo come topi in gabbia.
È nostra responsabilità come individui e come società non tralasciare nulla.
Donne e uomini siano tutti profeti di questa nuova era e coloro che trovano sicurezza nel razzismo, separatismo, sessismo, martirio, se non possono unirsi a questa chiesa vivente si facciano da parte.
La capacità di espressione dell’essere umano è incommensurabile quanto l’Universo in cui orbitiamo.
Questa battaglia non terminerà con violenza e terrorismo, non terminerà in un olocausto nucleare.
Comincia con la celebrazione del diritto all’alchimia, la trasformazione della merda in oro.
Con l’illuminazione del caos e dell’ oscurità della notte.
È il momento di un cambiamento dolce per tutti”.
www.paoladigiuseppe.it
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