Regia di Taika Waititi vedi scheda film
Col timone in mano a Waititi continua la deriva parodistica del principe asgardiano, che ormai non ha più niente della nobiltà ultraterrena della sua stirpe, né delle eco shakespeariane del primo capitolo ma è ormai un personaggio comico a tutti gli effetti, una parodia del superoe che non sa di essere diventato una macchietta. Thor, infatti, è visibilmente affetto da una sindrome del supereroe con superego straripante, incapace di evoluzione psicologica e condannato ad essere un eterno (o longevo) asociale. Tutto il prologo, in cui Thor è diventato elemento accessorio dei Guardiani della galassia senza essersi minimante integrato ma atteggiandosi a infallibile protagonista, è indicativo del mancato sviluppo del personaggio e della assenza di psiche consapevole, reduce solitario del suo passato glorioso ma incapace di vedere la realtà dei fatti.
Dell’inadeguatezza del personaggio il film fa ormai la sua cifra stilistica, immergendolo, come un Clouseau potenziato, a combinare guai in un turbinoso universo queer, tra eroine lesbiche o divinità dedite a orge affollate e voluttuose sotto l’egida di un divertito Russel Crowe nelle poche vesti di Zeus, imperatore spudoratamente depravato. In questo mondo rosa e fucsia, tra colori accesi, giochi di parole e allusioni erotiche, con Asgard diventata sulla Terra un semplice parco d’attrazioni, continua il divertimento esibito di Taika Waititi nel fare del divino tonante una caricatura spudorata, a cui tutto sfugge di mano una volta persi i punti di riferimento del personaggio classico, come la patria e la famiglia, fatte fuori a spizzichi e bocconi nei capitoli precedenti. È la storia, sopra le righe come si conviene al personaggio larger than life, di un disadattato con un ego spropositato che deve scoprire e accettare un’umanità e una debolezza a tutti evidente, tranne che a lui, tanto che il film appare la psicoterapia inconcludente indotta dagli eventi per un paziente refrattario e inconsapevolmente ridicolo. Ma la voglia di far ridere a tutti i costi a volte non coglie nel segno, e l’ironia sapida e diffusa di un universo funambolico di esseri e mondi esagerati, si dissipa in una comicità tirata e un po’ affannata, spesso ripetitiva nelle trovate e in una insistita sottolineatura che non ammette sottintesi.
Nella pellicola, inoltre, prosegue il congedo funesto dai personaggi storici tipica di questa fase del MCU, con l’addio alla fidanzata terrestre di Thor, Jane Foster, affetta da cancro terminale, ma diventata temporaneamente la she-Thor della saga, la Potente Thor coadiuvata dal martello Mjolnir classico, mentre Thor è ridotto a usare ora il succedaneo permaloso Stormbreaker. Al fianco dell’Eroe, la donna combatte le ultime battaglie, ma infine non rinuncia alla sua mortalità per non rimanere imprigionata nel corpo e nel ruolo che non è suo (lezione che Thor, però, non impara).
Nel mélo di un affetto perduto, i due antichi amanti combattono insieme una nemesi all’altezza dello status del protagonista, Gorr, che assassina gli dei tramite una spada che ne assorbe i poteri, per vendicarsi della mancata salvezza concessa alla amata figlia dalla divinità a cui era devoto. Alla distruzione di questa genia arrogante, infestata da psicologie devianti ed egocentriche, come dimostra il consesso presieduto dal re degli dei greci, il personaggio si dedica con sadica efficienza, in ogni tempo e in ogni mondo. Interpretato da un Christian Bale dalla spettrale magrezza degna di un Uomo senza sonno aiutato digitalmente, Gorr è dispensatore di un oblio eterno a cui inconsapevolmente ambisce, un buio confortante in cui riconciliarsi col divino in una univoca pace e riunirsi alla figlia perduta. Parallelamente e diversamente, Thor sembra avviato verso un’autodistruzione di sé e del proprio mito (aiutata dal regista) che lo pone in consonanza col nemico e col suo un desiderio inconsapevole di annullarsi per procura, in ambito tragico invece che comico. Il paragone è infine enfatizzato dalla adozione della rediviva figlia di Gorr (Love) il quale, dopo la pressa di coscienza del dolore e del desiderio di cancellarsi, la farà accudire da Thor, che inaspettatamente, da neo-vedovo della fidanzata storica, diventa genitore single adottivo, affettuoso quanto inadeguato, e rinnovato eroe diversamente dissacrato, con una nuova versione di affetti e di famiglia.
Nei titoli di coda, la consueta scena accessoria introduce un nemico futuro, Ercole, un semidio da opporre al divino norreno, mandato da Zeus a seminare zizzania e a promettere ulteriori, esagerate avventure per continuare le baruffe celesti.
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