Regia di Sam Raimi vedi scheda film
Dopo che il suo Peter Parker aveva fatto irruzione nel panorama Marvel, Sam Raimi, regista dei primi Spider-Man cinematografici, prende le redini del sequel dell’ultima pellicola dedicata all’Uomo Ragno per raccontare la disavventure multicolori e multiversali del fu Stregone Supremo, ora dilettante dotato. Ma il film sembra soprattutto il seguito della serie animata Marvel What If… che attraversava i vari universi narrativi dei fumetti inserendoli nella visione onnicomprensiva del silenzioso Osservatore Uato, alieno che dalla Luna guarda la Terra e i suoi eroi, mentre si domanda cosa sarebbe successo se… Così il multiverso diventa il serbatoio delle infinite potenzialità narrative offerte dal materiale di partenza, di innumerevoli variazioni sul tema, un indice del libro di tutte le possibilità non scelte ma in esso racchiuse. E di un volume, in effetti, si parla nel film, il Darkhold, già emerso nella serie tv generalista (quindi pre Disney+) Agents of S.H.I.E.L.D., testo mistico e infernale che non può non ricordare il Libro dei Morti all’origine della Trilogia della Casa di Raimi stesso.
Wanda Maximoff,diventata Scarlet Witch grazie al Darkhold, potente libro di magia, sfrutta il suo accresciuto potere di condizionamento della realtà e sconvolge il multiverso nella convinzione di poter riavere i figli avuti con Visione in quell’illusione di vita ricreata in forma di sit-com macabra dalla propria schizofrenia in Wandavision. E Strange la insegue per cercare di fermarla e impedire la distruzione di ogni variante del mondo, coadiuvati da una side-kick kid di estrazione messicana
Film di specchi e di varianti, Il Multiverso della follia, centrale nella fase IV del MCU, permette a Raimi di lavorare sulla digressione e sulla moltiplicazione, rilanciando ogni volta una narrazione stranamente lineare nei suoi elementi portanti, a dispetto delle apparenza avventurosa e variabile, con l’ossessione della felicità ad ogni costo come fulcro, ovvero la follia monocorde di Wanda (a cui fa riferimento il titolo), che però si riverbera anche nel rimorso romantico di Strange, quell’amore perso nel primo film e abbandonato definitivamente in questo, con la concessione della felicità all’amata. Ed è nello scarto tra le due scelte che si afferma il dissidio tra i due personaggio, uno avvezzo alla perdita e alla rassegnazione, l’altra forsennatamente artigliata ai propri desideri irrealizzabili.
Al di là del funambolismo delle ambientazioni e dell’apparenza imprevedibile delle avventure, si tratta di un film sulla perdita, che si smarrisce però nel voler nascondere la propria natura malinconica e melodrammatica sotto la solita coltre di giostre e magie, di effetti digitali, e in cui le varianti diventano uno specchio della personalità e di ogni sua possibile espressione dei personaggi, sino alla follia. Raimi si nasconde dietro alle giostre multicolori di un universo volutamente kitsch e fantasmagorico, con tinte horror e lisergiche, per raccontare il dolore della perdita nei due antagonisti. mentre mostra allo spettatore ogni riverbero possibile delle proprie scelte. Come una lezione di filosofia tra Kirkeegard e Aristotele, tra bontà e cattiveria e la responsabilità di ogni decisione, il regista confonde etica ed estetica all’interno della religione di un cinema che si vuole più profondo della propria confusa superficie.
Ma non si riesce a eliminare il dubbio che tutti i nuovi film Marvel, dopo la deflagrazione di Endgame, siano da una parte conclusivi e dall'altra meramente introduttivi. Se accompagnano verso la tomba molti degli eroi “classici” della prima fase (in questo caso Wanda, dopo lo strepitoso exploit seriale ), dall’altra le vicende sembrano solo dei pretesti per annunciare le prossime storie e introdurre nuovi eroi, sfruttando i personaggi noti come meri lasciapassare per altre destinazioni, in parte perdendo però l’impeto centripeto delle prime fasi del MCU che lo avevano reso enormemente coerente sino alla conclusione della fase 3. Così, nella vorticosa follia del multiverso, Strange vede Mr Fantastic (adesso con il volto e gli arti di gomma di un ipotetico John Krasinski) e il Dottor X, nell’incarnazione classica di Patrick Stewart (i mutanti e i Fantastici 4 sono i nuovi apporti Marvel dopo l’acquisizione della Fox), e si affollano, con morti più o meno violente, il capitan America di Peggy Carter, la reminiscenza della pessima ultima serie ABC dedicata agli Inumani con l’attore già protagonista del re muto Black Bolt, una diversa Capitan Marvel.
Tra summa di citazioni, strizzatine d’occhio cinefile e nerd, ipotesi di sviluppo, anticipazioni di nuovi elementi e personaggi, il Multiverso (o MCU?) della Follia si profila come un campo da gioco infinito, l'ambito di tutte le variabili e varianti ipotizzabili dei character noti, un What If… potenziato che non finisce di affastellare sottofinali e di ripartire per “esplorare “strani, nuovi mondi, alla ricerca di altre forme di vita e di civiltà [...], fino ad arrivare là dove nessun uomo è mai giunto prima”. O forse a tornare indietro per ricercare una perduta coesione.
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